Sulla Cina Francesco è lungimirante, Trump usa i cattolici solo per la propaganda
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Sulla Cina Francesco è lungimirante, Trump usa i cattolici solo per la propaganda

Quello di Trump è un cristianesimo che torna a saldarsi politicamente all’Occidente, ai suoi interessi e alle sue politiche.

Papa Francesco
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

30 Settembre 2020 - 16.13


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Prima di venire a Roma il segretario di stato americano aveva intimato a Francesco di chiudere ogni dialogo sui criteri di nomina dei vescovi con Pechino. Impensabile. Ora è a Roma e durante un simposio con i vertici diplomatici del Vaticano uno di loro ha detto  che il papa non ha ricevuto Pompeo perché si vuole strumentalizzare il papa per la campagna elettorale. Ma chi pensasse però che Stati Uniti e Vaticano siano ai ferri corti sulla Cina sbaglierebbe. Sono ai ferri corti sull’Occidente.

In un certo senso l’indicazione più preziosa in questo senso l’ha data proprio monsignor Ghallagher, che mentre era ancora in svolgimento il simposio sulla libertà religiosa con la partecipazione del segretario di Stato americano Pompeo ha fatto sapere di essere stato invitato a parlare solo per pochi minuti, “normalmente non si fa così. Quando si preparano le visite a così alti livelli di ufficialità si negozia l’agenda in privato e confidenzialmente. E’ regola della diplomazia, dando a entrambi possibilità di definire il simposio, non dando le cose per fatte”, aggiungendo che così si strumentalizza il papa per la campagna elettorale in corso, motivo per cui il papa non incontrerà Pompeo.

Cosa voglia dire è abbastanza chiaro. Ma usare il papa per una campagna elettorale al calor bianco come quella in corso può voler dire tanto, soprattutto se si considera che con Trump i giudici cattolici che siedono nella Corte Suprema tra pochi giorni saranno sei su nove e sposteranno l’asse del potere verso di lui. Se a questo si aggiunge che l’attacco più irrituale della storia americana al Vaticano – la citata intemerata nella quale Pompeo ha chiesto al papa di chiudere la ricerca di un accordo sulla nomina dei vescovi con Pechino pena non riconoscergli più autorità morale – è partito da una testata molto attiva proprio nella costruzione di un cattolicesimo anti-Bergoglio il quadro diventa più chiaro. Cosa vuol dire? Vuol dire che il rischio è che si possa pensare di tornare a un rapporto speciale tra cattolicesimo e Occidente, un rapporto che potremmo capire guardando a quello che  c’è tra patriarcato moscovita e Cremlino. Per dirla in termini cinesi si potrebbe dire “una chiesa patriottica americana”.

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Come si vede in questo la Cina c’entra, ma non tanto. La Cina c’entra nelle contingenze, gravissime, del momento, nei toni della campagna elettorale, nella caccia al voto cattolico-identitarista. Ma sebbene il papa non intenda cedere nella maniera più assoluta, non vuole farlo per una questione di fondo: lui sa che nella difficilissima situazione del mondo d’oggi chiudere le porte a Pechino significherebbe aiutare chi le vuole chiudere a Pechino, dicendo che le religioni sono strumenti di poteri politici stranieri. Questo sarebbe esiziale non solo per il cristianesimo in Cina, ma per tutti. Per tutti i cinesi, che tornerebbero in un orizzonte di sinizzazione, dove tutto per essere lecito deve essere fedele all’imperatore-segretario. Ma questo sarebbe grave anche per noi, che torneremmo a vivere una religione che sposa una causa politica, una cultura, una priorità e che aiuta così altre fedi a fare altrettanto. Non c’è solo il fondamentalismo di cui più si parla, ma anche altri e proprio l’oriente è scosso da altri fondamentalismi, come quello induista, che lì adesso governa. 

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Il clamore che desta l’inusuale durezza dello scontro non riguarda dunque una questione marginale, ma il tipo di cristianesimo che hanno in mente Francesco e Trump. Quello di Trump è un cristianesimo che torna a saldarsi politicamente all’Occidente, ai suoi interessi e alle sue politiche. E’ un cristianesimo che potrebbe parlare il linguaggio del vangelo della prosperità, mentre quello di Francesco conosce il Vangelo dei poveri di spirito.  Quello di Francesco dunque è un cristianesimo solidale globale, che abbraccia tutti per costruire finalmente l’unità nella diversità. L’Unità non è omologazione per Francesco, anche per questo invoca il multilateralismo.

Dunque il problema non è soltanto sulla gravità dei problemi cinesi, ma sui rimedi per quei problemi, che potrebbero aggravarli e, facendolo, aggravarne anche altri.

Questa vicenda è grave perché purtroppo dimostra che Francesco non è anti-americano come si dice. Troppo semplice. Fu lui a suggerire a Obama il disgelo con Cuba, dicendo “signor Presidente, se vuole risolvere il problema del suo paese con l’America Latina, risolva il problema di Cuba”. Questo particolare, rivelato dal professor Andrea Riccardi, va citato, per capirlo bene, insieme a un altro. Quando Francesco si recò a Cuba a Fidel Castro donò dei libri, lo hanno detto tutti. Non tutti hanno detto però che erano del gesuita padre Llorente, che insegnò a Castro al liceo e che dopo la rivoluzione fu mandato in esilio. A riprova del fatto che chi vuole aiutare a risolvere i problemi richiede uno sforzo da tutti.  Ma nell’ambito di una visione di unità nelle diversità, non di uniformità. 

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