Il futuro della Palestina sembra diventato una partita tra petromonarchie
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Il futuro della Palestina sembra diventato una partita tra petromonarchie

Nel giorno in cui le cronache internazionali magnificavano lo storico primo volo di linea da Israele ad Abu Dhabi Hamas ha raggiunto una tregua con Tel Aviv con la mediazione del Qatar

Il Qatar rappresenta Hamas con Israele
Il Qatar rappresenta Hamas con Israele
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Settembre 2020 - 15.56


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Ormai quella palestinese è una “partita” tra le ricche petromonarchie del Golfo: Emirati Arabi Uniti (Eau) e Qatar. La riprova? Nel giorno in cui le cronache internazionali magnificavano lo storico primo volo di linea da Israele ad Abu Dhabi – frutto dell’accordo di pace tra lo Stato ebraica e gli Emirati Arabi, con quest’ultimi che vantavano di aver impedito con quell’intesa l’attuazione del piano israeliano di annessione di parti della Cisgiordania – ecco l’annuncio dell’”hudna” (tregua) raggiunta da Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, con la mediazione decisiva del Qatar.

Partita a due

Ufficialmenteme, ad annunciare il raggiungimento di una intesa per “fermare l’escalation” lungo il confine con Israele dopo un mese di incidenti e riportarvi la calma, è stato il leader di Hamas Ismail Haniyeh, ma a renderlo possibile è stato il piccolo ma potente stato del Golfo. L’accordo, ha affermato Hanieh, “contribuirà a bloccare le aggressioni contro il nostro popolo”. Lo stesso leader di Hamas ha precisato che il patto, mediato dal Qatar, include la realizzazione di progetti a beneficio di Gaza e servirà a contrastare la diffusione dei contagi di coronavirus.

A riportarlo è il Jerusalem Post, spiegando che l’inviato del Qatar ha fatto la spola per giorni fra lo Stato ebraico e la Striscia per evitare uno scontro militare totale. L’annuncio, che è stato confermato anche dal governo israeliano, giunge dopo due settimane di tensioni fra Israele e Hamas, durante le quali sono stati lanciati oltre il confine centinaia di palloni incendiari e bombardati interi quartieri di Gaza. “E’ stata raggiunta un’intesa per contenere l’escalation e fermare l’aggressione sionista al nostro popolo”, recita l’annuncio pubblicato dall’ufficio del leader di Hamas Yahya Sinwar. Secondo Hamas, la nuova intesa include “una serie di progetti che servono al nostro popolo nella Striscia di Gaza e lo aiuteranno ad affrontare l’epidemia di coronavirus”. L’annuncio di Hamas non fa alcun riferimento agli sforzi di mediazione dell’Egitto con Israele, sottolinea il Jerusalem Post.

Il coordinatore dell’attività del governo israeliano nei Territori ha detto che il valico di frontiera di Kerem Shalom sarà riaperto oggi, e che la zona consentita per la pesca intorno a Gaza sarà riportata a 15 miglia nautiche. Fonti di Hamas hanno detto ad Haaretz che in un incontro con la leadership del movimento palestinese,  “esponenti di alto livello del Qatar” hanno riferito dell’assenso israeliano per continuare a permettere l’ingresso di denaro del Qatar a Gaza.

Le fonti hanno inoltre detto che Israele ha dato l’approvazione al Qatar per la costruzione di un gasdotto, per il funzionamento di una centrale elettrica finanziata dal Qatar, e per lavorare alla creazione di una linea di fornitura di elettricità a Gaza, insieme alla creazione di progetti per aumentare l’occupazione nella Striscia e alla consegna di apparecchiature per il test del coronavirus.

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Lunedì scorso, il Ministero della salute di Gaza ha avvertito di un aumento delle infezioni da coronavirus. Il dottor Ashraf Alkudra, portavoce del ministero, ha affermato in una conferenza stampa,  lunedì sera, che c’è una grande carenza di kit di analisi negli ospedali di Gaza. Alkudra ha aggiunto che il personale medico e di pronto intervento ha lavorato con mezzi molto limitati per cercare di fermare la diffusione del virus che la decisione di mantenere l’isolamento, ora nel suo sesto giorno, è stata estesa ai prossimi giorni.

Tregua “virale”

Il personale medico di Gaza ha detto di essere molto preoccupato per la perdita di controllo della malattia, in particolare tra i malati gravi che avrebbero bisogno di ventilatori. Ci sono solo 90 ventilatori disponibili a Gaza, hanno detto, di cui 10 sono stati donati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tre persone sono morte a causa del coronavirus nella Striscia  nel giro di una settimana, a fronte di un solo decesso nella prima ondata dell’epidemia.

Un’azione rapida per alleviare la situazione umanitaria e prevenirne un ulteriore deterioramento, garantire il rispetto del diritto umanitario internazionale” è stata chiesta  dail coordinatore dell’agenzia Onu “Ocha” (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) nei Territori palestinesi occupati, Jamie McGoldrick, in una dichiarazione relativa alla “disastrosa” situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. Da settimane nella Striscia si assiste a una escalation delle ostilità tra gruppi armati palestinesi, “che lanciano razzi in territorio israeliano”; Israele, a sua volta, “sta limitando il trasferimento di alcune merci nell’enclave palestinese, ha ridotto l’area di pesca consentita e impedito le consegne di carburante, compreso quello delle Nazioni Unite, destinato alla Centrale elettrica locale che di conseguenza ha cessato le operazioni il 18 agosto, riducendo drasticamente la fornitura di elettricità a quasi 2 milioni di palestinesi”. McGoldrick denuncia che la limitata fornitura di servizi, come l’erogazione di energia elettrica per un massimo di 4 ore al giorno, “sta ostacolando la capacità del sistema sanitario di Gaza di far fronte alla pandemia da Covid-19”. Le interruzioni di corrente negli ospedali – afferma l’Ocha – stanno avendo gravi ripercussioni soprattutto sui pazienti in terapia intensiva, nei casi cronici e in quelli di emergenza particolarmente vulnerabili. La riduzione della fornitura di elettricità sta minando gravemente anche le operazioni di tutti i pozzi d’acqua, delle stazioni di pompaggio delle acque reflue, degli impianti di trattamento delle stesse e della desalinizzazione. Alto il rischio di esondazione delle acque reflue nelle aree popolate, con relativo aumento dell’inquinamento nel Mar Mediterraneo, della costa e della falda acquifera”.

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Da qui l’appello dell’Ocha a Israele affinché consenta, “in linea con i suoi obblighi di potenza occupante, le consegne di carburante e garantisca che i bisogni fondamentali delle persone siano soddisfatti così da prevenire un crollo dei servizi di base”. Ad Hamas, che controlla la Striscia l’Ocha, chiede “di cessare e di impedire il lancio di palloni incendiari e di razzi e di porre fine ad altre azioni che rischiano di destabilizzare ulteriormente la situazione. Tutte le parti mostrino la massima moderazione e agiscano per proteggere i civili, nel pieno rispetto della loro dignità e dei diritti umani”.

Geopolitica e petrodollari

L’opa del Qatar su Gaza. Potenza dei petrodollari, al servizio della geopolitica mediorientale. “Dal 2012, il Qatar ha versato a Gaza più di un miliardo di dollari. Ma Doha non vuole finanziare il cessate il fuoco di Hamas-Israele per sempre, soprattutto ora che  il Qatar ha appena impegnato 50 milioni di dollari in Libano per la ricostruzione dopo la devastante esplosione di Beirut. Gaza è uno strumento per il Qatar, e Hamas lo sa fin troppo bene. Gli interessi di Gaza non sono la priorità del Qatar. È stato su richiesta di Israele, e con la benedizione della Casa Bianca, che gli aiuti del Qatar sono arrivati a Gaza. Israele voleva mettere in atto un meccanismo per frenare la ribellione popolare di Gaza, la Grande Marcia del Ritorno. Il capo del Mossad ha persino visitato il Qatar nel febbraio di quest’anno per convincere il suo governo a continuare a finanziare Gaza”, annota su Haaretz Muhammad Shehada, scrittore e attivista della società civile di Gaza,  “Attraverso il flusso di aiuti – rimarca Shehada    il Qatar spera di accrescere il suo profilo regionale e di posizionarsi come un attore significativo nella comunità internazionale. Spera anche di ottenere punti a Washington; di posizionarsi in una luce migliore rispetto ai vicini Stati del Golfo – e un modo sicuro per farlo è quello di dimostrare la sua importanza nel garantire la sicurezza di Israele. Attori internazionali come il Qatar hanno contribuito a sostenere un’economia di violenza a Gaza, con il blocco di Israele, lo scontro interno al campo palestinese e il governo di Hamas come protagonisti chiave. Gli stessi aiuti umanitari legittimano ora una forma di controllo e di tortura dei palestinesi: sovvenzionando minimamente Gaza in modo da tenere a malapena la testa fuori dall’acqua, ma minacciando costantemente di farli annegare. A meno che la comunità internazionale non trovi il coraggio necessario per porre fine al blocco di Gaza, resta l’obbligo minimo di impedire la morte di Gaza”.

Recentemente, il ministro degli Esteri del Qatar, ha dichiarato che, anche se gli Stati Uniti considerano Hamas come un’organizzazione terroristica, la legittimità del gruppo è accettata dalle nazioni arabe. In un’intervista con i media russi, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani ha ribadito il sostegno del Qatar per il movimento islamico palestinese. Abdulrahman Al-Thani ha aggiunto che la presenza dei leader politici di Hamas nel Paese del Golfo è finalizzata a facilitare l’unità palestinese. Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno tagliato le loro relazioni con Doha accusandola di sostegno alle organizzazioni terroristiche. Riyadh ha riferito che i legami saranno ripristinati solo dopo che Doha cessa il suo sostegno ad Hamas.

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Potenza senza esercito

Il Qatar, ovvero Un Paese con poco più di due milioni di abitanti, ma dotato di uno dei fondi sovrani più grandi del mondo. Meraviglie del gas naturale, la risorsa che ha fatto la fortuna del Qatar (è il primo esportatore e ha un Pil pro-capite fra i più alti al mondo) consentendo alla sua Qatar Investment Authority di accumulare, negli anni, enormi investimenti dagli Usa all’Europa, con in Italia un’alleanza accanto a Cassa depositi e prestiti. Se negli gli Usa gli investimenti del Qatar sono sparsi fra proprietà e media e in Asia prevalgono energia e grattacieli, l’Europa è un nodo strategico: specie dopo la crisi finanziaria, che ha visto il fondo Qia accorrere alla richiesta d’aiuto di numerose banche: da Barclays (la quota è ora al 6,3%) a Credit Suisse, fino in tempi recenti a Deutsche Bank, dove Doha punta a superare il 10%. L’Italia piace moltissimo alla monarchia degli Al Thani. Con partecipazioni importanti dalla moda (Valentino è stato rilevato nel 2012 da investitori qatarioti che controllano anche Pal Zileri) agli immobili, dal 100% di Porta Nuova, progetto di riqualificazione in centro a Milano, agli hotel di lusso come il Gallia di Milano o il Four Seasons di Firenze.

C’è anche la grande industria europea: da Volkswagen, dove il piccolo Paese del Golfo controlla ben il 17%, al colosso russo Rosneft (9,75%) fino all’energia di Royal Dutch Shell (2,13%), alle materie prime di Glencore (9%). A Doha piacciono il calcio (gli emiri possiedono il paris Saint Germain) e gli investimenti in Gran Bretagna (almeno 35 miliardi di dollari nel 2015 fra lussuose proprietà, quote nei grandi magazzini di Harrod’s, un 20% dell’aeroporto di Heathrow. Il fondo del Qatar è il primo investitore in Sainsbury e Qatar Airways è al 20% di Iag, la holding che controlla British Airways, Iberia e Aer Lingus.

A ciò si aggiunge la potenza mediatica, esercitata attraverso l’emittente televisiva satellitare al-Jazeera.

Con questa potenza di fuoco, economica e finanziario, il “piccolo” Qatar è entrato nella grande partita mediorientale. Da protagonista.

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