Libia, l’apocalisse al tempo del Covid. Guerra più virus: un mix devastante alle porte dell’Italia. Globalist lo ha documentato a più riprese, assieme al miserabile fallimento delle iniziative abborracciate dall’Europa, vedi la missione Irini). Ora, per chi, dalle parti di Palazzo Chigi e della Farnesina, fa finta di non sapere, cosa alquanto improbabile, o di non capire, e qui le probabilità si alzano visto chi è alla guida della nostra diplomazia, valga questo comunicato congiunto di tutte le più importanti agenzie delle Nazioni Unite impegnate sul fronte dell’emergenza sanitaria e della tutale dei più indifesi.
Nel baratro
“Il conflitto e la pandemia di Covid-19 rappresentano una minaccia significativa alla vita in Libia. La salute e la sicurezza dell’intera popolazione del paese sono a rischio. Circa 400.000 libici sono stati sfollati dall’inizio del conflitto 9 anni fa – circa la metà dei quali nell’anno passato, da quando l’attacco alla capitale, Tripoli, è cominciato.
Nonostante gli appelli ripetuti per un cessate il fuoco umanitario, anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, le ostilità continuano senza sosta, impedendo l’accesso e la consegna di aiuti umanitari fondamentali. Gli operatori umanitari affrontano sfide significative ogni giorno per portare avanti la loro missione. A marzo 2020, i partner umanitari hanno riportato un totale di 851 restrizioni di accesso ai movimenti di personale e aiuti umanitari all’interno e verso la Libia.
La situazione per molti migranti e rifugiati è specialmente allarmante. Dall’inizio di quest’anno, oltre 3.200 persone sono state intercettate in mare e sono state fatte ritornare in Libia. Molti di loro finiscono in uno degli 11 centri di detenzione ufficiali. Altri vengono portati in strutture o centri di detenzione non ufficiali a cui la comunità umanitaria non ha accesso. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente ribadito che la Libia non è un porto sicuro e che le persone salvate in mare non dovrebbero essere riportate in detenzione arbitraria.
Donne e bambini continuano a sopportare il peso del conflitto armato in corso in Libia: nell’anno passato, le Nazioni Unite hanno verificato 113 casi di gravi violazioni, tra cui uccisioni e mutilazioni di bambini, attacchi a scuole e strutture sanitarie. Ospedali e strutture sanitarie sono stati presi di mira da bombardamenti, che hanno ulteriormente sconvolto il fragile sistema sanitario libico. Dall’inizio dell’anno, almeno 15 attacchi hanno danneggiato strutture sanitarie e ambulanze e ferito operatori sanitari. Questi attacchi sono una palese violazione del diritto internazionale umanitario e sono ancora più vergognosi durante la pandemia di Covid-19.
L’insorgenza del Coronavirus in Libia pone ancora maggiore pressione sul già sovraccarico sistema sanitario, e minaccia ulteriormente le persone più vulnerabili del paese. Al 13 maggio, erano stati confermati 64 casi di Covid-19, fra cui tre decessi, in diverse parti del paese. Ciò dimostra che si sta verificando una trasmissione locale/comunitaria. Il rischio di un’ulteriore escalation dell’epidemia è molto alto.
La sicurezza alimentare, che già rappresentava una sfida, viene compromessa dalla diffusione del Covid- 19 e dal suo impatto socioeconomico sulle famiglie in Libia. Le ultime analisi di mercato mostrano che la maggior parte delle citttà si trova ad affrontare la carenza di prodotti alimentari di base e l’aumento dei prezzi. La limitata disponibilità di beni sul mercato e l’aumento dei prezzi hanno un impatto sulla pianificazione, così come le interruzioni della catena di approvvigionamento. Il supporto continuo alla sicurezza alimentare nel paese è essenziale, in modo che la crisi sanitaria non peggiori, diventando una crisi alimentare.
Esortiamo tutte le parti in conflitto a proteggere le strutture vitali per l’approvvigionamento idrico. Siamo estremamente allarmati dal fatto che gli impianti idrici siano stati deliberatamente presi di mira o attaccati indiscriminatamente. Ciò colpisce migliaia di donne e bambini e ostacola gli sforzi per attuare le misure di base per la prevenzione dei virus, come il lavaggio delle mani.
Supportiamo l’appello del Segretario Generale a un cessate il fuoco globale e ad una pausa umanitaria per salvare vite e permettere alle autorità libiche e ai loro partner di dedicare le loro energie a fermare la diffusione del Covid-19. La comunità internazionale non deve chiudere gli occhi di fronte al conflitto in Libia e ai suoi effetti catastrofici sui civili, inclusi migranti e rifugiati, nel paese.
Nonostante le enormi sfide, le Nazioni Unite e i nostri partner umanitari hanno continuato a raggiungere le persone più vulnerabili in Libia. I fondi sono urgentemente necessari, anche per i servizi di supporto vitale come il Servizio Aereo Umanitario delle Nazioni Unite, se vogliamo continuare a rispondere alle necessità di emergenza. Attendiamo con trepidazione il sostegno finanziario promesso al Piano di risposta umanitaria per la Libia, come annunciato dal Governo di Accordo Nazionale. I donatori hanno dato il loro sostegno. Chiediamo loro di continuare a mostrare la loro generosità e a supportare il popolo libico nella sua richiesta di pace e in questo momento di grande bisogno”.
Allarme rosso
Per comprendere appieno l’importanza di questo appello, basta “pesare” i suoi firmatari: Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari Mark Lowcock; Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi; Direttore Generale dell’Unicef Henrietta Fore; Direttore Esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione Dott. Natalia Kanem; Direttore Esecutivo del World Food Programme David Beasley; Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus; Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni António Vitorino.
Di Maio in Parlamento
“E’ necessario che il trasferimento di armi e mercenari verso la Libia cessino” e su questo fronte una corretta gestione dell’operazione Irini può essere di aiuto. Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio riferendo in commissioni Esteri congiunte di Camera e Senato sulla situazione in Libia.
Il ministro ha ribadito “la ferma condanna espressa” per l’attacco vicino alla residenza del nostro ambasciatore a Tripoli condotto dalle milizie di Haftar, “segno di disprezzo dei diritti internazionali e della vita umana, alla quale si sono associati tutti i partner europei”.
Di Maio ha riferito che sul campo “prosegue l’escalation e c’è il rischio di uno scontro sempre più violento, resta valida l’analisi secondo cui nessuna delle due parti sia in grado di prevalere militarmente ma il perseguimento della fragile tregua e del cessate il fuoco appare come un obiettivo ancora difficile da raggiungere”.
“Inutile dire che la crisi sanitaria del Covid-19 – ha aggiunto – ha prodotto un rallentamento generale” del processo politico in Libia “e proprio in queste ore stiamo dando come Italia un rinnovato impulso. È fondamentale adoperarsi per un pieno rilancio degli esercizi di Berlino in termini di dialogo intra-libico, in particolare in ambito militare e politico”.
“L’Italia ha chiesto lo stop di interferenze esterne e si è fatta promotrice” di un intervento dell’Unione europea. In questo senso, secondo Di Maio “un importante risultato è l’operazione Irini, la missione che ha come priorità il controllo dell’embargo Onu delle armi sulla Libia. L’Italia si è assicurata il comando della nuova operazione. Sulla base di questo impegno siamo determinati alla massima imparzialità affinché qualunque violazione dell’embargo venga pubblicamente denunciata”.
“Serve una de-escalation immediata del conflitto” e “un vero cessate il fuoco. Non esiste – lo ripeto – una soluzione militare alla crisi”. “La Libia – ha proseguito – è ad un passaggio cruciale. Il rischio di un ulteriore inasprimento del conflitto, con il coinvolgimento sempre più massiccio di attori esterni, è evidente. Ed è purtroppo molto concreto. Si tratta di una prospettiva drammatica che stiamo cercando di evitare in ogni modo, con gli strumenti della diplomazia. Strumenti che però non hanno i tempi delle armi”. “La stabilizzazione duratura e sostenibile della Libia – ha aggiunto – rimane una priorità assoluta per il Governo italiano, a tutela del nostro interesse nazionale, del futuro del popolo libico e della stabilità dell’intera regione euro-mediterranea”. Il capo della diplomazia italiana parla di ‘attori esterni’ e dice: “La Libia è ad un passaggio cruciale. Il rischio di un ulteriore inasprimento del conflitto, con il coinvolgimento sempre più massiccio di attori esterni, è evidente. Ed è purtroppo molto concreto. Si tratta di una prospettiva drammatica che stiamo cercando di evitare in ogni modo, con gli strumenti della diplomazia. Strumenti che però non hanno i tempi delle armi”, ha sottolineato. “Affinché l’intensità degli scontri sul terreno si riduca, è necessario che i trasferimenti di armi e mercenari verso la Libia cessino”.
Infine il titolare della Farnesina ha ribadito che l’Italia chiede che “si colmi il vuoto politico seguito alle dimissioni di Salamè, al quale va il nostro ringraziamento. E’ necessario procedere quanto prima alla nomina del nuovo rappresentante speciale del segretario dell’Onu”.
Che dire? Un compitino da 6 stiracchiato, considerazioni ripetute come un mantra, un insieme di buoni propositi che tali sono destinati a restare. Con l’aggiunta della difesa dell’indifendibile missione Irini e con una conclusione che è l’implicita ammissione che nella “partita libica”, l’Italia è in panchina, tanto da non influenzare minimamente la scelta del successore di Salamè. Statene certi: quel nome uscirà quando a mettersi d’accordo saranno Mosca, Ankara, Parigi, Il Cairo, forse Berlino e un po’ meno Washington. A Roma sarà comunicato successivamente.
Argomenti: covid-19 Nazioni Unite