La premio Nobel: "Da sconfiggere c'è anche il 'virus' dell'ingiustizia e dell'odio verso i più indifesi

Mairead Corrigan Maguire: “Se il mondo ha ancora una coscienza, è tempo che emerga, non solo in questa giornata, ma in un agire quotidiano che si proietti nel tempo"

Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976 
Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976 
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Aprile 2020 - 14.23


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Se il mondo ha ancora una coscienza, è tempo che emerga, non solo in questa giornata, ma in un agire quotidiano che si proietti nel tempo. Se il mondo è davvero unito per contrastare la catastrofe sanitaria provocata dal coronavirus, se davvero c’è la consapevolezza che in questa lotta siamo tutti dalla stessa parte, non c’è segno più grande che far tacere le armi, raccogliendo l’appello lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite. Tacciano le armi e i miliardi destinati a sviluppare questi strumenti di morte vengano destinati alla ricerca scientifica, alla difesa della vita, al sostegno dei più indifesi tra gli indifesi: i bambini. Mai come in questo momento così drammatico, dovremo scoprire il valore della solidarietà e dell’umanità.”

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A sostenerlo, in questa intervista a Globalist in occasione della prima Giornata Internazionale delle Coscienze indetta dall’Onu, è la premio Nobel per la pace 1976 Mairead Corrigan Maguire. Nata a Belfast da famiglia cattolica, Maguire, decise di dedicarsi alla pace nel suo paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento “Donne per la pace”. Maguire è anche presidente della Nobel Women’s Initiative, la fondazione che unisce le donne insignite di questo prestigioso riconoscimento.

Oggi, domenica 5 aprile, le Nazioni Unite hanno promosso la prima Giornata Internazionale delle Coscienze, in piena emergenza sanitaria che coinvolge tutto il mondo. Che significato assume, in questa fase così drammatica per l’umanità, questa Giornata?

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I significati sono molteplici. Tra questi, il raccoglimento in memoria delle vittime del Coronavirus e delle tante guerre che ancora si combattono nel mondo. Ma il ricordo, il dolore, da soli non bastano se si vuole davvero dimostrare che il mondo ha ancora una coscienza. Occorre dare sostanza alle celebrazioni, agire in coerenza, facendo seguire i fatti alle parole. Altrimenti resta un esercizio retorico. Spesso certe celebrazioni servono a ‘lavare le coscienze’ piuttosto che a riflettere sulle sofferenze indicibili a cui sono costrette intere popolazioni. Oggi siamo tutti concentrati sulla pandemia globale del Coronavirus. Ci sentiamo tutti più fragili, insicuri. Ma avere una coscienza significa agire affinché non si debelli solo il Covid-19 ma anche i ‘virus’ delle guerre, della povertà assoluta, dei disastri ambientali.  Questa emergenza planetaria ridefinisce l’idea stessa di comunità, e dovrebbe insegnare che vi sono diritti, come quello alla salute, che non sono delegabili al mercato.  Una cosa è certa: nulla sarà più come prima. Sta a ciascuno di noi evitare che sia peggio”,

“Il nostro mondo fronteggia un comune nemico: Covid-19. Al virus non interessano nazionalità, gruppi etnici, credo religiosi. Li attacca tutti, indistintamente. Intanto, conflitti armati imperversano nel mondo. E sono i più vulnerabili – donne e bambini, persone con disabilità, marginalizzati, sfollati – a pagarne il prezzo e a rischiare sofferenze e perdite devastanti a causa del Covid-19. A ricordarlo, nei giorni scorsi, è stato Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, lanciando in diretta video un appello per “un immediato cessate il fuoco globale in tutti gli angoli del mondo”.

“Condivido e faccio mie, anche a nome della Nobel Women’s Iniziative, le parole del segretario generale dell’Onu. Le Nazioni Unite rappresentano il più grande organismo internazionale dove sono rappresentati tutti gli Stati del mondo. Molto in questi anni segnati da guerre, spesso dimenticate, si è detto e scritto: “Cosa fa l’Onu?” “Dove è l’Onu?” Oggi, di fronte a questa catastrofe sanitaria causata dal Covid-19, l’Onu può riscattare il passato e diventare davvero, nel senso più alto del termine, il Centro del mondo. Se siamo tutti dalla stessa parte della barricata nello sconfiggere la pandemia del Coronavirus, allora non c’è modo migliore, più forte di dimostrarlo che far tacere le armi e, per usare le parole di Guterres, e realizzare un immediato cessate il fuoco globale in tutti gli angoli del mondo. 

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Che lo si metta all’ordine del giorno del massimo organismo decisionale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, lì dove siedono tutte le grandi potenze mondiali. Che sia votata all’unanimità una risoluzione che imponga il cessate il fuoco. Chi siede al Consiglio di sicurezza ha gli strumenti per far rispettare una tale risoluzione. La furia del virus dimostra la follia della guerra, afferma Guterres. Ma in quella follia c’è una logica: la logica, perversa, di chi, pur di realizzare le proprie ambizioni di potenza, finanzia guerre per procura che annientano popoli, come quello siriano, ad esempio, e a quanti si arricchiscono con il commercio delle armi. Ma nel suo appello, il segretario generale dell’Onu, ricorda anche un’amara verità…

Qual è questa verità?
“Che il virus non cancella le disuguaglianze, anzi le alimenta. Perché vi sono paesi piagati dalla guerra in cui il sistema sanitario è andato distrutto, dove non esistono le strutture necessarie per far fronte all’emergenza in atto. Nel mondo vi sono più di settanta milioni di rifugiati, i migranti sono oltre duecento milioni. Chi si prende cura di loro? È vero, tragicamente vero: rifugiati e sfollati a causa dei conflitti sono doppiamente vulnerabili. Si dice che dopo il coronavirus niente sarà come prima. Facciamo sì che questa non rimanga un’affermazione retorica.

Ogni anno vengono spesi centinaia e centinai di miliardi per armamenti. Si convertano in ricerca, in una lotta per la salute che investa l’intero pianeta. Riscopriamo il valore più alto e nobile della parola “umanità”.

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Lei ha fatto riferimento alle grandi potenze e a chi le guida. Se si guarda ai loro comportamenti passati, non c’è molto da sperare.
“E invece occorre coltivare la speranza, perché l’alternativa è la rassegnazione. Ma non c’è scritto da nessuna parte che il destino dell’umanità sia quello di autodistruggersi! Le guerre non sono cataclismi naturali, ma frutto di scelte compiute dagli uomini. Si dice che la statura dei grandi politici si misuri in occasioni eccezionali. Oggi siamo di fronte ad un evento “eccezionale”, che impone una nuova visione delle relazioni sociali e umane. Chi detiene il potere è chiamato ad assumere responsabilità straordinarie.

La storia li giudicherà. Una tregua umanitaria globale significa permettere la realizzazione di corridoi umanitari, di mettere in sicurezza milioni di sfollati, di portar loro cura e assistenza. Se si vuole, si può fare. Ed è venuto il momento”.

Lei parla dei potenti della Terra, ma non c’è anche una responsabilità individuale che appartiene a tutti noi?
“Assolutamente sì. Ripensare le relazioni sociali e umane comporta una riflessione su noi stessi, sul senso della vita, sul consumo sfrenato che spesso maschera un impressionante vuoto ideale. Ai tempi del Coronavirus siamo chiamati tutti, nessuno escluso, a pensarci ed agire come cittadini del mondo. Occorre dare sostanza a parole come solidarietà, civismo, inclusione… E non chiudere gli occhi di fronte alla tragedia di milioni di persone costrette a fuggire dall’inferno di guerre, povertà assoluta, disastri ambientali, come se tutto ciò non ci riguardasse. E invece ci riguarda, eccome. Perché un mondo diseguale produce catastrofi che non possono essere fermate da muri o fili spinati.

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Pensare ai più indifesi, sfollati, rifugiati, migranti, porta inevitabilmente a rimarcare ciò che da settimane sta avvenendo ai confini tra Grecia e Turchia, e nelle isole greche come Lesbo, codecine di migliaia di esseri umani ammassati in campi sempre più affollati. E tutto questo con il rischio di una catastrofe sanitaria legata all’estendersi del coronavirus.
“È una condizione angosciante. Io ho avuto modo di visitare altri campi di accoglienza, e ne sono uscita scioccata. Nessuno, e mi riferisco in particolare a chi detiene il potere politico, può dire di non sapere ciò che le associazioni umanitarie denunciano ormai da tempo: le condizioni di vita nei centri di detenzione, perché di detenzione si tratta, si stanno rapidamente deteriorando e migliaia di persone vivono in condizioni indecenti. E in molti casi, si tratta di bambini, di donne incinte, di persone con disabilità. Gli esseri umani che sono ammassati in quei campi sono i più indifesi tra gli indifesi: hanno dovuto subire violenze indicibili, che hanno indebolito i loro corpi, abbassato le loro difese immunitarie. E questo vale soprattutto per le donne, i bambini, gli anziani. Cosa altro deve accadere perché queste persone vengano messe in sicurezza? Vogliono centinaia di morti, magari con tanto di foto su cui versare lacrime di coccodrillo?

L’Europa se ha ancora un briciolo di umanità e rispetto per quei valori che ne sono stati a fondamento, dovrebbe predisporre un piano straordinario di evacuazione che metta in sicurezza queste persone. L’Europa non può continuare a ignorare questa situazione disumana.

Papa Francesco ha definito “disumano” quanto sta accadendo in Siria, e in particolare a Idlib.
“So bene dell’impegno del Santo Padre per la pace, so del suo dolore vero per la sofferenza del popolo siriano. E so anche che il pontefice, che certo non può dirsi un simpatizzante di Assad, ebbe un ruolo importante, se non decisivo, per evitare che l’America entrasse in guerra, ripetendo in Siria la catastrofe irachena. Papa Francesco ha scelto di stare dalla parte di chi soffre e non concede alibi a quanti vorrebbero strumentalizzare quelle sofferenze. Lui sta dalla parte dell’umanità. Quella che in Siria si sta perdendo”.

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L’Europa non solo continua a dividersi sulle quote-migranti, ma innalza altri Muri e blinda le sue frontiere.
“Quei Muri sono una prova di debolezza, una vergogna ma anche una illusione. L’illusione che si possa fermare in questo modo una marea umana che fugge da situazioni di sofferenza indicibili, da regimi sanguinari dove la tortura è normalità e anche i più elementari diritti umani e civili vengono calpestati. Ho paura di quelle forze razziste che strumentalizzano l’insicurezza della gente, che alimentano la caccia al migrante. Ciò di cui sento il bisogno è di una “battaglia” culturale, è la riscoperta di quei valori di solidarietà, di inclusione, di ospitalità che sono stati a fondamento della civiltà europea. Non bastano leggi o misure di sicurezza. Io credo che vi siano dei valori non negoziabili, valori universali che vanno difesi ovunque e comunque. Da cittadini del mondo, un mondo più libero e giusto. Un mondo con una coscienza”.

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