Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv, ha scritto che il voto più utile per “unificare” Israele è quello alla Joint List, la Lista araba unita. A nove giorni dal voto, tutti i sondaggi danno la Joint List in crescita (14-15 seggi). Con quei seggi il centro-sinistra raggiungerebbe, sempre secondo i sondaggi, 58 seggi, quattro in più delle destre. Ma il leader di Kahol Lavan (Blu Bianco), Benny Gantz ha affermato che se sarà lui a dover formare il nuovo governo, non imbarcherebbe gli arabi israeliani perché, sostiene, “troppo grandi sono le differenze che ci separano”.
Ayman Odeh, 45 anni, leader della Joint List, affida a questa intervista esclusiva concessa a Globalist la sua risposta all’ex capo di stato maggiore delle Idf (le Forze di difesa israeliane: “Prendiamo atto delle affermazioni, ma Gantz commette un grave errore nel rincorrere a destra Netanyahu. Israele ha bisogno di un cambiamento vero, di una svolta radicale, e non di un continuismo con il passato”.
Mancano nove giorni al voto. La campagna elettorale è entrata nel suo rush finale. Il leader di Kahol Lavan, Benny Gantz, ha affermato che in caso di vittoria non includerà la Joint List nella sua coalizione di governo. Qual è la sua risposta?
“Quella di Gantz è una scelta grave, fatta da un politico che si era presentato come l’uomo che univa Israele contro una destra estremista che lo divideva. Ora Gantz sembra volersi accreditare a destra come un ‘Netanyahu ripulito”, senza scheletri giudiziari nell’armadio, ma in continuità con le politiche che i passati governi hanno portato avanti. Israele ha bisogno di ben altro…”.
Vale a dire?
“Di una netta discontinuità, di un vero governo del cambiamento, con una visione e programmi decisamente alternativi a quelli delle destre. E di certo questo Gantz non lo riuscirà a fare con un governo che avesse al proprio interno falchi come Avigdor Lieberman (ex ministro della Difesa e leader del partito di destra nazionalista Yisrael Beiteinu, ndr)”.
Nelle consultazioni che seguirono le elezioni del 17 settembre, lei indicò al capo dello Stato Reuven Rivlin, Gantz come candidato premier. Alla luce delle recenti esternazioni del leader di Kahol Lavan, si pente di quella indicazione?
“No. Allora si trattava di scegliere tra un politico che si candidava a unire Israele e un primo ministro tra i peggiori nella storia d’Israele, e non solo per essersi posto al di sopra della legge, sobillando la piazza contro un inesistente ‘golpe legale’…”.
Insomma, Gantz come “male minore”…
“Metterla così è un po’ riduttivo. Con i dirigenti di Kahol Lavan avevamo in quelle settimane aperto un tavolo per discutere i punti essenziali di un governo al quale, anche dall’esterno, avremmo potuto dare il nostro sostegno: temi che andavano da una lotta alle crescenti disuguaglianze sociali che penalizzano fortemente la comunità araba (il 20,9% su una popolazione, secondo il recentissimo aggiornamento dell’Ufficio Centrale di statistica di 8.907.000, il 74% ebrei, ndr), ad un piano straordinario per le case ai giovani, ad un rilancio del dialogo con la dirigenza palestinese del presidente Abbas. In quel frangente, avevamo registrato un ascolto positivo da parte di Gantz. Se oggi qualcuno ha cambiato idea, non siamo di certo noi”.
In piena campagna elettorale è entrato a gamba tesa il “Piano del secolo” di Donald Trump. Qual è la posizione della Joint List?
“Quello di Trump è l’ultimo regalo, di una lunga serie, fatto al suo amico Netanyahu. Quel piano legittima le aspirazioni annessionistiche della destra israeliana e pone fine al dialogo con i palestinesi. E Benny Gantz sbaglia gravemente nel far suo quel piano. In questo modo spacca il campo democratico e cade nella trappola di Netanyahu”.
Nel “Piano del secolo” messo a punto dall’amministrazione Trump, per dare soluzione al conflitto israelo-palestinese, si fa un esplicito riferimento all’annessione della Valle del Giordano da parte d’Israele.
“ Non è proseguendo sulla strada della colonizzazione dei Territori palestinesi occupati che Israele potrà raggiungere una pace giusta e duratura con i palestinesi. Una pace fondata sulla soluzione a due Stati. L’alternativa è istituzionalizzare il regime di apartheid nei Territori, ma questo darebbe un colpo mortale alle residue speranze di pace. Noi vogliamo vivere in un luogo pacifico basato sulla fine dell’occupazione, sulla creazione di uno stato palestinese accanto allo Stato d’Israele, sulla vera uguaglianza, a livello civile e nazionale, sulla giustizia sociale e sicuramente sulla democrazia per tutti. Un’aspirazione che non potrà mai essere realizzata se al governo ci saranno ancora sostenitori di un Israele che fa dell’identità ebraica un’arma di divisione interna, e dell’annessione di territori palestinesi una scelta strategica”.
Nel Piano Trump è contemplato uno Stato palestinese…
“Definirlo Stato è ridicolo! Quello che è configurato è una sorta di “Bantustan” nel quale i palestinesi verrebbero ingabbiati. Questo pseudo Stato non avrebbe il controllo dei suoi confini e dipenderebbe in tutto da Israele. Questo piano è stato partorito per essere rifiutato dalla dirigenza palestinese in modo tale da poter dire “ecco, vedete, non sanno dire altro che no”. E infatti Netanyahu ne sta facendo un punto di forza della sua campagna elettorale”
Ma quel piano, insisto su questo, è stato fatto proprio, sia pur con alcuni distinguo, dallo stesso Gantz.
Ed io insisto nel riaffermare che Gantz commette un grave errore nel rincorrere Netanyahu sul suo terreno. Forse così pensa di accreditarsi presso la Casa Bianca, di certo provoca una frattura nel campo democratico e progressista israeliano. Su questo punto voglio essere molto chiaro: la Joint List non appoggerà mai un governo che abbia nel suo programma la realizzazione del Piano Trump, anche se di quel governo non dovesse far parte Benjamin Netanyahu. Quel piano, ribadisco, è unilaterale, pericoloso e rischia di alimentare una nuova escalation di violenze. Ma forse è proprio questo l’obiettivo di Netanyahu e dei suoi sostenitori americani: stravolgere l’agenda politica israeliana, riproponendo l’emergenza sicurezza come assoluta priorità. Gantz cade in questa trappola. Noi non lo seguiremo”.
Nel “Deal of the Century” s’ipotizza anche che alcune parti di territorio israeliano potrebbero rientrare nell’ipotetico Stato palestinese.
“E guarda caso la destra ultranazionalista traduce questa balzana idea nel “diamogli un po’ di arabi israeliani, così ce li togliamo fuori dai piedi”. Vogliono liberarsi di noi ad ogni costo. Ma non ci riusciranno. La crescita della Joint List deriva dalla nostra capacità di parlare non solo agli arabi israeliani ma anche ai cittadini ebrei d’Israele che rifiutano di vivere sotto un regime etnocratico”.
Recenti sondaggi danno la Joint List in crescita di consensi e di seggi, dagli attuali tredici a quindici. Seggi che potrebbero risultare decisivi per dare vita a un governo di centrosinistra. Siete pronti ad assumervi responsabilità di governo?
“Nonostante quanto asserito da Gantz, assolutamente sì. Una democrazia non può definirsi compiuta fino a quando vigerà una sorta di pregiudiziale di fatto nell’inclusione degli arabo-israeliani e dei partiti che li rappresentano in grande maggioranza, nel governo d’Israele. Per decenni, la nostra è stata un’esclusione pregiudiziale. Ora non è più così. Nessuno ci ha regalato niente. Abbiamo combattuto perché le problematiche che riguardano una comunità che rappresenta oltre il venti per cento della popolazione d’Israele entrassero nell’agenda politica di chi ha l’ambizione di governare. L’unico futuro di questo Paese è un futuro condiviso e non esiste un futuro condiviso senza la piena ed equa partecipazione dei cittadini arabo-israeliani”.
C’è chi sostiene che le trattative con Gantz erano saltate per questioni di poltrone governative…
“Quando non si hanno argomenti validi per sostenere il confronto, si punta a infangare l’avversario, alimentando così una campagna di odio che ipoteca il futuro d’Israele. Ma non voglio eludere la sua domanda: non si tratta di poltrone, ma di affermare che gli arabi israeliani sono a tutti gli effetti cittadini d’Israele con pari diritti e doveri della maggioranza ebraica. Diritti che abbracciano ogni sfera della vita sociale, economica, politica. E sì, anche assumere in prima persona responsabilità di governo”.
Haaretz ha scritto che oggi il voto più utile per unificare Israele, e rafforzare in un senso non etnocratico la stessa identità ebraica, è votare la Joint List.
“E’ una presa di posizione importante, che va ben oltre l’indicazione di voto. Importante perché è il portato di una riflessione che investe una parte importante dell’elettorato progressista ebraico, come dimostrano gli appelli al voto per la Joint List di figure autorevoli del mondo della cultura e della scienza israeliani. Anche in questa campagna elettorale mi sono battuto per la creazione di un fronte progressista che unisse ebrei e arabi, sulla base di una visione condivisa d’Israele, della sua identità nazionale. La Joint List nasce come referente degli arabi israeliani ma ha l’ambizione di andare oltre questa rappresentanza. E i riscontri che stiamo ricevendo sono molto incoraggianti”.
Siamo al canto del cigno per il primo ministro più longevo nella storia d’Israele?
“Una dote, l’unica, che riconosco a Benjamin Netanyahu, è quello di essere un combattente, tanto più nel momento in cui si sta giocando la partita della vita. Mi aspetto colpi bassi in questa ultima settimana di campagna elettorale e un dopo voto che, stando ai sondaggi, si preannuncia complesso e insidioso. Certo, è difficile pensare che una svolta significativa possa venire da un governo Blu Bianco-Yisrael Beiteinu – Likud, anche se a guidarlo fosse Gantz e non Netanyahu. Per quanto ci riguarda, siamo fiduciosi di un buon risultato che sapremo gestire anche dall’opposizione, assumendoci le responsabilità e le prerogative che comunque attengono alla principale forza di opposizione. Il nostro voto peserà comunque”.
Con Gantz ogni rapporto è chiuso?
“In campagna elettorale si forzano certe posizioni, cercando di attingere voti dal serbatoio della destra. Un successo della Joint List può rimescolare le carte e portare a cambi di rotta oggi impensabili. Noi faremo di tutto perché ciò accada”.
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