Del militante di sinistra ne ha l’aria, sottolineata dall’inseparabile cravatta rossa, ma il leader laburista Jeremy Corbyn, nel suo partito, ha scontato per molto tempo l’aperta opposizione dell’ala blairiana, a lungo egemone. Come raccontato su euronews.com un’egemonia che si è interrotta nel 2015, quando la sua elezione alla segreteria venne marcata da un discorso schiettamente socialista, che ha fatto breccia tra i militanti più giovani e tra quelli che avevano lasciato il partito, delusi dai new labour seguiti a Blair e Brown.
La sterzata a sinistra ha funzionato, se Corbyn é riuscito a superare indenne, anzi rafforzandosi, le primarie pensate per fargli uno sgambetto. Niente di che preoccuparsi, per l’ex sindacalista in parlamento da più di trent’anni, dove ha sempre mantenuto posizioni in difesa dei lavoratori, rivendicando un ruolo centrale per il servizio pubblico e opponendosi a fondo alle guerre, come fece quando criticò apertamente la decisione di Blair di intervenire in Iraq.
Da tempo Corbyn è anche nel mirino delle lobbies sioniste, che bollano le sue critiche alla politica dei governi israeliani come antisemitismo. Ultimo, il grande rabbino Ephraim Mirvis, che lo definisce “inadatto” a governare. Il fuoco concentrico pare però ridare nuova forza al vecchio laburista, la cui popolarità nell’elettorato rimane in crescita. Corbyn è riuscito a ridurre da 20 a 2 i punti percentuali di distanza dai conservatori, ed è sempre considerato in corsa per Downing Street.
Secondo molti osservatori la crisi legata alla Brexit ha messo in luce le capacità politiche del segretario laburista, decisamente critico con la politica di Bruxelles ma altrettanto esplicitamente contrario all’uscita di Londra dall’Unione. Alla hard Brexit del premier Johnson Corbyn oppone l’ipotesi di un secondo referendum, promettendo in tal caso di restare neutrale: tra i labour britannici, infatti, non sono pochi quelli favorevoli al divorzio dai 27, e Corbyn, almeno per ora, non intende sfidarli.