“E’ uno dei momenti più importanti nelle recente storia del Regno Unito”. La premier britannica Theresa May ha definito così l’annuncio formale che farà domani, 29 marzo 2017, sull’avvio della Brexit e delle trattative con Bruxelles. Il fine, ha aggiunto il primo ministro, è quello di creare una “relazione profonda e speciale” con l’Europa.
Dopo il referendum è arrivato, infatti, il giorno dell’inizio dei negoziati che porteranno Londra lontano dall’Unione Europea. Domani il Regno Unito, a 44 anni dal suo ingresso nell’allora Comunità economica europea, avvierà così come previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona l’iter per lasciare l’Unione. Il passo successivo a questo gesto formale sarò l’apertura dei negoziati per questo storico divorzio.
E la May, prima del passo verso la fuoriuscita, tenta la difficile mossa di serrare le file in seno al regno di Sua Maestà, per arrivare a Bruxelles certa che il Regno Unito sia davvero “unito”, perché i negoziati con l’Ue si annunciano problematici, carichi d’insidie e incognite. Per trovare unità nel Paese ha rivolto il suo primo sguardo al Nord, in quel territorio dove la maggioranza della popolazione è anti-Brexit e dove la first minister, Nicola Sturgeon, è tornata a soffiare sulla secessione scozzese (oggi il parlamento locale d’Edimburgo vota sulla richiesta di un referendum bis sull’indipendenza: voto che si scontra col no preventivo di Londra).
“Non è ora il tempo” di una nuova consultazione sul futuro della Scozia, ha insistito la premier inglese, non è il tempo di un regno “indebolito o diviso”. Al contrario, ha affermato, la Brexit può essere un’occasione per “rafforzare l’unione fra le nazioni” britanniche (l’Inghilterra e la Scozia, ma pure il Galles e quell’Irlanda del Nord alle prese in questi giorni con nuove tensioni fra repubblicani anti-brexiter e unionisti allineati).
L’idea della May, che poco piace alla Scozia, è quella di una Gran Bretagna compatta che rivendica il peso nelle sue missioni militari all’estero; la quota di aiuti internazionali forniti nel mondo; la capacità d’attrarre investimenti stranieri anche nella fase di transizione verso l’addio al club dei 28, come confermano i 5 miliardi di sterline messi sul piatto dal Qatar. Eppure da Edimburgo, la Sturgeon si è detta frustrata per la situazione.
Il Londra è ottimista, perché sa che l’uscita dall’Ue resta una scommessa: come testimoniano i dubbi del Financial Times e di altri sull’adeguamento di leggi e normative chiave per gli interessi di business della City o sul trasferimento di competenze ora europee a regolatori e future autorità nazionali tutte da reinventare. E più ancora come dimostrano gli stress test con scenari ipotetici catastrofici per l’economia british che la Bank of England s’appresta a imporre. Ma sa anche che la secessione rischia di essere un azzardo, più che una soluzione, per la Scozia. Gradito tuttora, a credere ai sondaggi, da un 46% di scozzesi: una minoranza, per quanto robusta.
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