Good morning Damasco, viaggio nella Siria che non c'è più

Ricordi di un soggiorno nei tempi passati, prima che la guerra cancellasse splendori e umanità. [Onofrio Dispenza]

Siria, uno scatto prima dell'inzio della guerra
Siria, uno scatto prima dell'inzio della guerra
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28 Luglio 2016 - 18.14


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di Onofrio Dispenza

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Le focaccine calde con il timo. A guidarti al forno è il profumo che sale lungo le strade di Bab Touma, il quartiere cristiano. Timo, zaat. L’uomo ne sforna a decine. Non fa in tempo a poggiarle sul vassoio di alluminio, che sono finite. Costano niente. Poco più giù, a ridosso della piazza che diventa una cavea affollata di auto e tagliata dai clacson, un gruppo di studenti americani approfitta del wifi del caffè. Dividono Coca Cola, Rete e pensieri con amiche e amici di Damasco. Lei chiede in inglese, lui risponde in inglese. Lei riprende in arabo, e in arabo ha una risposta. Istantanee che il caso vuole abbia trovato proprio adesso che il mio pensiero è per Damasco, per una Siria che non c’è più per un orrore che ne ha modificato i tratti e che si è spalmato sull’Europa, anche oltre. Riordino libri e foto e vien fuori, dunque Damasco. Non c’erano sofisticati telefonini quando ci sono stato. A colori, formato standard, stampate al rientro. Momenti di un mondo cancellato dalla guerra e dai lutti.

Good morning,, Damasco! Secondo giorno a Damasco e le focaccine col timo diventano il segno della croce per iniziare la giornata. Comincia presto, farà presto caldo. La notte di Damasco. La prima vissuta a parlare, non so come, col vecchio della casa che mi ospita. Non si dorme per il caldo, la famiglia mi ha ceduto la camera del vecchio e lui dorme in terrazza, dove ha trascinato il suo letto. Fa troppo caldo, lo raggiungo, e insieme passiamo la notte. Guardando le auto che sfrecciano sul raccordo che ci divide dal cimitero. Le auto, più clacson che fari e freni. l vecchio fuma e mi parla. Forse di lui, probabilmente della sua Damasco, chissà dei figli, dei nipoti. Mi offre dell’acqua in un bicchiere di latta che ha conosciuto tante bocche. Al primo chiarore, si alza e va a lavarsi in un piccolo lavandino annerito che è in terrazza. Fuma, mi guarda ed è felice dell’intesa che legge nei miei faticosi cenni della testa che provano a seguirne i ragionamenti. Mi offre della frutta e un caffè.

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La moschea, il grande suq. C’è chi “sbrizzia” il tratto di strada che sta davanti al negozio con un secchio d’acqua, facendo pioggia con le mani, perché non si alzi la polvere. Le donne hanno ancora negli occhi il nero fondo della notte. Bambini dai capelli rossi tagliano la strada e rincorrono la gallina fuggita alla nonna. Sotto la volta di al-Ḥamīdiyye  entri in un mondo a parte dove c’è la Damasco di fuori, ma tanto altro. I bambini di Damasco: saranno stati uomini, o quasi, quando tutto è cambiato. Se morti, li abbiano messi nel conto della guerra, non della nostra pietà “salvata” per i più piccoli. Dall’altro ingresso del suq, le voci ritmate di una processione. Si fa più intensa. Sciiti che si flagellano il petto e la schiena. Quando mi passano davanti, all’odore delle spezie si è sovrapposto quello del sudore misto al sangue.

Damasco delle periferie che non ci sono più. Delle periferie che ti portano al deserto per riconsegnarti ai piedi del monastero di Mar Musa. Quando fai le scale per salirci, non ti chiedi quanti gradi ci siano. Arrivato, la pace è starsene seduto nella piccola chiesa ascoltando padre Dall’Oglio al centro di una corona di giovani, sotto una tenda, sulla terrazza che spazia sul deserto. Giovani d’ogni parte del mondo. E lui a parlar loro più di uomini che di Dio. E tu a pregare Dio e gli uomini, perché non lo facciano. E Dio e gli uomini, distratti, non hanno ascoltato.

Good morning, Damasco!

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