Il patriarca di Baghdad, Mons. Louis Sako, manifesta “grave preoccupazione” per i cristiani in Iraq. Proprio Sako oggi ha incontrato nella capitale irachena il presidente del Senato Pietro Grasso con cui ha parlato dei suoi timori per la crescente islamizzazione in senso fondamentalista del Paese alle porte dell’Isis. “Noi temiamo per il futuro politico del Paese. Dove va il governo? I profughi prima o poi torneranno alle loro case, ma non si capisce che cosa succederà, con il Daesh che vuole lo Stato islamico e i musulmani che occupano le posizioni di potere nel Paese”, ha detto il presule che ha denunciato tanti gesti di intolleranza nei confronti dei cristiani, ed in particolare una legge in base alla quale i figli di chi si converte all’islam sono considerati musulmani in automatico.
La legge è stata rinviata al Parlamento dal presidente della Repubblica Fouad Masum, il quale oggi ha assicurato al presidente Grasso, che sul punto ha avanzato perplessità, che quella legge non andrà avanti. Il presidente del Senato ha sollevato il tema anche nell’incontro con il presidente del parlamento iracheno, Salim al Jabouri, il quale non solo ha confermato che la legge tornerà in discussione in Aula per essere rivista, ma che vari deputati hanno esposto perplessità e la volonta’ di eliminare l’articolo sulla conversione automatica dei figli. Ma il patriarca ha paura.
“È una violazione della Costituzione ed una lesione dei diritti umani. Ma qui la religione pesa moltissimo in politica. Per cui non sono ottimista”. E ha ricordato i volantini con cui si invita a indossare il velo come faceva la Madonna. “Ma quello accadeva duemila anni fa. Noi abbiamo fatto appello alle giovani donne ad andare in giro libere. Baghdad era una città occidentalizzata e colorata, oggi è abbrunata dal nero dei veli e delle bandiere islamiche”.
Ha aggiunto: “I cristiani sono in Iraq da duemila anni, ben prima che ci fossero i musulmani. Ma ora ci considerano come cittadini di seconda categoria. Se si va avanti così non resteranno più cristiani qui. E questo la comunità internazionale non può accettarlo”,