Stato d’emergenza perenne: e se fosse impossibile tornare indietro?

Se lo stato d’emergenza dovesse essere ulteriormente esteso, qualcosa per la libertà e la democrazia dei francesi cambierà.

Stato d’emergenza perenne: e se fosse impossibile tornare indietro?
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1 Dicembre 2015 - 14.52


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da Parigi
Francesco Ditaranto

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A più di due settimane dagli attacchi di Parigi, è necessario, se non addirittura vitale, fare il punto sul modo in cui il governo francese sta affrontando il post attentati. Questa mattina, ai microfoni della radio Europe 1, il primo ministro, Manuel Valls, non ha escluso una proroga dello stato d’emergenza, oltre la scadenza naturale fissata per fine febbraio. “Lo stato d’emergenza – ha detto il premier – serve precisamente a difendere le nostre libertà”. Valls ha anche rivendicato i risultati ottenuti sino a oggi: 2000 perquisizioni, 529 arresti (tra i quali più di 300 per la manifestazione non autorizzata di domenica, anche se soltanto 9 sono stati confermati), 300 obblighi di dimora (24 per militanti ecologisti).

In questi dati, che testimoniano anche il coinvolgimento di persone in alcun modo legate al terrorismo islamico, e nella frase del premier, si rileva un gravissimo rischio per la democrazia francese. In altre parole, se lo stato d’emergenza serve a difendere le libertà, perché dovrebbe avere un termine temporale? L’incognita è tutta qui. E’ comprensibile il ricorso a un regime speciale nell’immediatezza di un attacco, come quello che si è registrato a Parigi. Bisogna “mettere in sicurezza” la zona, e con essa tutto il paese, eliminare la possibilità di una continuazione o di una replica di atti della stessa matrice, prendere i responsabili. Siamo però nell’immediato. In quell’istituto dello stato d’emergenza, cioè, la cui durata è prevista sino a un massimo di dodici giorni. Il prolungamento di tre mesi, votato dall’Assemblea Nazionale, normalizza questo regime speciale, rendendo lo stato d’emergenza uno stato di fatto.

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Facendo riferimento alla manifestazione di Parigi, il divieto di scendere in piazza, stabilito dal regime eccezionale nel quale la Francia vive attualmente, nasce dal pericolo eventuale che i partecipanti a una dimostrazione possono correre, oltre che dalla difficoltà di controllarla e garantirne la sicurezza. I cittadini, insomma, rinunciano al diritto di manifestare, in cambio della sicurezza di non correre rischi.

Come evidente, in uno scenario come quello attuale, dove cioè gli attacchi sono stati portati in una capitale, con una modalità tipica del terrorismo, difficilmente il governo francese potrà assicurare ai suoi cittadini il “rischio zero” nei prossimi tre mesi. Valls ha implicitamente confermato questo, come si deduce dal fatto che non abbia smentito una proroga del regime attuale.

“La sicurezza è la prima delle libertà” recitava un manifesto elettorale del Front National del 1992. Questa frase è ormai adottata dai maggiori esponenti politici, senza farsi troppe domande. Lo stato d’emergenza, dunque, si sta sedimentando nella società francese (come dimostrano peraltro i sondaggi), come uno stato normale. Ma non c’è da stupirsi, perché l’estensione da 12 giorni a 3 mesi, presenta già in sé questo carattere di normalizzazione. In questa prospettiva, se la sicurezza è la prima delle libertà, c’è da chiedersi come, in questo conflitto asimmetrico, la sera del 26 febbraio (allo scadere dei tre mesi) potrebbero riunirsi tutte le condizioni per ristabilire il regime normale. Perché, per utilizzare altri termini, i francesi dovrebbero privarsi di quella sicurezza che hanno accettato come la prima delle libertà, in cambio di quei diritti ai quali hanno rinunciato?

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È inutile girarci intorno, da destra a sinistra, il messaggio politico che si sta facendo passare, è quello di una normalizzazione dello stato di semi-eccezione, e l’elettorato sta rispondendo positivamente. Anche da un punto di vista logico, prima che politico e culturale, si ha la sensazione di un’impossibilità del ritorno alla normalità costituzionale. Uno stato d’emergenza perenne, diventa strutturale, e dunque pericolosamente normale.
Il presidente onorario della Lega dei Diritti dell’Uomo, l’avvocato Henri Leclerc, ha detto oggi che “lo stato d’emergenza è uno stato di debolezza della democrazia. La Francia –ha continuato il legale- ha appena scritto al Consiglio d’Europa, per comunicare che sospenderà l’applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. E’ terribile. Vuol dire che le misure che si pensa di applicare non sono necessarie in uno stato democratico”.

In più di una dichiarazione, all’indomani degli attacchi, il presidente Hollande ha ribadito che i terroristi non riusciranno a cambiare lo stile di vita dei francesi, dunque le loro libertà e la loro democrazia. Eppure, di fatto, e ancor più se lo stato d’emergenza dovesse essere ulteriormente esteso, qualcosa per la libertà e la democrazia dei francesi sta cambiando e cambierà. Forse la trappola, nella quale bisogna evitare di cadere, è proprio questa.

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