“Omar al Shishani. È il nome che gli arabi hanno dato a mio figlio Tarchan. Da piccolo, sua madre lo chiamava spesso Omar, perché il nome georgiano era troppo difficile. Era un ragazzino molto sveglio, gentile, andava bene a scuola, come tutti i miei tre figli. Quando sento parlare di tutti quei morti, vittime delle stragi dell’Isis non riesco a credere che il mio Tarchan ci sia di mezzo”. Temur Batirashvili è padre di uno degli uomini più potenti dell’Isis, Omar al-Sishani, detto anche Omar il Ceceno. Capelli e lunga barba rossa, inconfondibile nelle immagini del terrore che ci arrivano dalle fila del Califfato, è lui il “ministro del reclutamento” del minaccioso, sedicente Califfato.
Il racconto del padre di Omar al Shishami, nel reportage proposto nella tarda serata di lunedì, su Rai1 da “Petrolio”, l’approfondimento settimanale condotto da Duilio Gianmaria. Gli inviati di “Petrolio”, Maria Magarik (di Radio1 Rai) e Claudio Rubino, si sono addentrati tra le montagne al confine tra Georgia e Cecenia per raggiungere il piccolo paese della famiglia di uno dei più temuti terroristi del mondo. Sulla sua testa, una taglia di 25 milioni di dollari. Una componente, quella del fondamentalismo islamico di questa regione, che si impone all’attenzione nel momento in cui dalle zone di scontro con l’Isis arriva la notizia dell’abbattimento di un aereo russo da parte della Turchia. Putin ha risposto con estrema durezza . Per lo zar di Mosca fermare e provare a distruggere l’Isis è anche una partita interna. Ha temuto, affrontato e spento il fondamentalismo islamico di casa e non ha alcuna intenzione di assistere a tizzoni che tonano a bruciare.
“Ben 7 volte lo hanno dato per morto – ricorda nell’intervista il padre del terrorista – Lo scrivevano i giornali. A settembre gli iraniani hanno detto che era stato ucciso in un raid, in Iraq. Il mio cuore dice che è ancora vivo. Il mio Tarchan viene definito dai giornali “uno dei musulmani più coraggiosi e credenti al mondo”, ma voglio raccontare com’è’ andata veramente . Per questo vi ho fatto entrare a casa mia. Sono cristiano-ortodosso, come tutta la mia famiglia, da sempre. Mia moglie, cecena era musulmana. A casa nostra non ci sono mai state tensioni religiose. Sono laico, ho lavorato tutta la vita come operaio edile in diversi cantieri, in giro per l’Unione Sovietica: da Mosca a Vladivostok. Nella nostra valle in passato non c’erano fanatismo religioso, lodio etnico e droga”. Povertà in casa di Omar, povertà e desolazione nell’abitato.
Dopo il crollo dell’Urss, durante la seconda guerra cecena, la valle raggiunta dagli inviati di “Petrolio” divenne il rifugio sicuro per i boeviki, i combattenti ceceni che si accampavano in questi poveri paesini di frontiera. Assieme ai guerriglieri confluivano migliaia di profughi. Tanti giovani e giovanissimi venivano fortemente influenzati e sceglievano di andare a combattere per l’indipendenza del popolo ceceno. Nel 2003 l’esercito georgiano è intervenuto per riportare l’ordine nella Valle del Pankisi. Ma la stabilità raggiunta è solo apparente. Perché oggi dalla valle chiamata “la Valle dei combattenti” molti ragazzi partono per la Siria per andare a unirsi all’Isis. La Georgia, secondo i jihadisti, dovrebbe far parte dell’Emirato del Caucaso di Doku Umarov che vuole riportare anche la Giorgia nel progetto del grande Califfato.
Nelle file dello Stato Islamico combattono molti ceceni e georgiani. Omar al Shishani è un richiamo per tanti giovani.
“Mio figlio voleva condurre una vita normale – ricorda nell’intervista il padre del numero 2 dell’Isis – sognava di entrare nell’esercito o nella polizia fin da piccolo. Aveva fatto diverse volte la domanda ma non era mai riuscito. Per sopravvivere aveva deciso di dedicarsi al commercio. Prese in prestito un po’ di denaro e comprò in Turchia uno stock di coperte e lenzuola per rivenderle al paese. Una notte la polizia bussò alla nostra porta, mise a soqquadro la casa – ricostruisce il padre del terrorista – Cercavano la pistola che Tarchan possedeva illegalmente. Ero disperato. perché non ho mai avuto armi in casa e non sapevo niente. I poliziotti portarono via tutto quello che avevamo in casa…tutto…capite? Era inutile protestare, anche se avessi detto che non sapevo cosa dare da mangiare ai miei nipotini. Tarchan finì in carcere, dove si ammalò di tubercolosi. Per curarlo ho venduto anche l’ultima mucca che avevamo. Fu a quel punto che mio figlio incontro l’Islam radicale e il jihad. Al ritorno dal carcere passò da casa e mi disse: “Papà, la mia Patria non ha bisogno di me, capisci…sono un uomo inutile, me ne vado per sempre”.
È stata la miseria a fare di mio figlio un jihadista. E vi dico di più: se qui a Birkiani ci fosse almeno una palestra, o un posto per andare a ballare, i waahibiti non avrebbero modo di mettere radici nel Caucaso”.
Nel reportage, parla Luisa, insegnante. A Birkiani è il punto di riferimento di tante mamme. Ogni giorno va a trovare il vecchio Temur che vive con una piccolissima pensione e spesso non ha soldi neanche per le medicine necessarie. Luisa parla con i giovani attratti dal jihadismo e dell’Islam radicale che rimpiazza sempre di più’ quello moderato del Caucaso. L’insegnante bussa alla porta delle madri che hanno perso i loro figli in Iraq e in Siria: “Non vogliono parlare – dice – perché provano troppo dolore. Si sentono in colpa per non essere riuscite a fermare in tempo i loro ragazzi… alcuni avevano solo 14 – 15 anni… La povertà e l’abbandono sono i motivi principali di questa immensa tragedia. Ma ora a partire per la Siria sono anche ragazzi di famiglie benestanti.. Siamo una minoranza etnica, e abbiamo bisogno di essere integrati meglio nella società georgiana…Per questi giovani Tarchan è un punto di riferimento molto importante…
Accanto alla moschea, nuova di zecca, l’unico posto in cui ritrovarsi…In paese non c’è’ neanche un bar…
“Mio figlio Tarchan ha sbagliato le parole del padre del terrorista a “Petrolio” – Il dolore più grande è che è li,a combattere una guerra che non e’ sua.,, Sono vecchio, e presto moriro’… L’altro mio figlio lavora in Ucraina… anche lì e’ in corso un conflitto… Io, ogni giorno, ascolto il notiziario…ho tanta paura per loro…. Incontro i giovani per strada e penso che non posso farci niente…non posso fare niente per non farli partire… Perché qui non vivono, ma sopravvivono…
Pensa di poter rivedere suo figlio? Alla domanda degli inviati di “Petrolio”, l’uomo risponde: “Non lo rivedrò mai più…” E rivela:”So che Tarchan ha una figlia… Ho visto la mia nipotina una volta, di sfuggita…”. Confida che sono stati uomini vicini al figlio a mostrargli una foto della piccola sul cellulare. “So che Tarchan non tornerà’ mai più’ nella valle del Pankisi… Ogni uomo ha una propria strada da percorrere…un sentiero che ti viene assegnato…Si dice così tra queste montagne”. E per una sera, ecco l’Isis come non era stato raccontato.