di Alexis Feertchak
Nel 2012, Mitt Romney, candidato repubblicano per la Casa Bianca, aveva dichiarato che la Russia era il principale avversario geopolitico degli Stati Uniti, il che aveva lasciato sbalorditi i commentatori politici. Davanti a un uso così imbarazzante dell’obsoleto pacchetto software della Guerra fredda, Barack Obama si era mostrato leggermente beffardo, mentre per il popolo americano, la minaccia islamista probabilmente pesava di più di quella dell’ex Unione Sovietica.
L’attuale inquilino della Casa Bianca ora deve far buon viso a cattivo gioco: mentre lo Stato islamico ricorda agli Stati Uniti che la minaccia islamista non è morta con Bin Laden, gli Stati Uniti si sono messi ironicamente nella scomoda posizione di Mitt Romney, nel quadro di un confronto diretto con la Russia. Ma in questo gioco, è probabile che alla fine resteranno solo dei perdenti e un sacco di vittime, a cominciare dagli stessi ucraini.
Il centenario della guerra del 1914 viene commemorato ovunque con una certa intensità, ma abbiamo forse dimenticato che la Germania nazista è stata costruita in gran parte sul sentimento di umiliazione nato dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale e sui trattati di pace scritti in modo che la Germania fosse messa sul lastrico? Abbiamo inoltre dimenticato la lezione delle due guerre mondiali, sul fatto che le democrazie non si combattono tra loro e che, di conseguenza, si deve fare di tutto per incoraggiare la Russia a farsi strada verso la democrazia?
L’implosione morbida dell’URSS fu un miracolo laddove si pensi ai mille altri modi in cui avrebbe potuto concludersi la Guerra fredda. E come ha notato Vladimir Federovski, il merito dei russi in questa rivoluzione pacifica che ha fatto cadere il totalitarismo sovietico è immenso. In che modo questo merito fu ricompensato, se non con il motto millenario dei vincitori, «Guai ai vinti»? Dal 1991, quando il Patto di Varsavia è crollato, l’ossessione americana di far avanzare la NATO ai confini della Russia non è mai stata smentita dai fatti. Nonostante la promessa fatta da Reagan a Gorbaciov, l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica ceca sono entrate nella NATO nel 1999, seguite da Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004. Con la Rivoluzione arancione in gran parte finanziata dagli Stati Uniti, l’Ucraina, a sua volta, ha espresso il desiderio di aderire alla NATO, cosa che fu infine respinta in occasione del vertice di Bucarest nel 2008. Quali che siano le buone intenzioni degli ucraini, la rivoluzione di Maidan entra, così come la Rivoluzione arancione, in questo contesto, sperato da parte degli Stati Uniti, volto a un allargamento della NATO all’Ucraina. Come si può credere che la Russia non avrebbe reagito a un simile assedio?
George Kennan, che pure era all’origine della dottrina Truman del “contenimento” contro l’Unione Sovietica, già spiegava nel 1998 che l’espansione sconsiderata della NATO produrrebbe un nuovo confronto tra gli Stati Uniti e la Russia: «I russi reagiranno progressivamente e questo influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Nessuno è stato minacciato. Questa estensione [della NATO] farà rivoltare nella tomba i padri fondatori di questo paese». E aggiunse: «Sono stato particolarmente infastidito dalle rimostranze fatte alla Russia, come se questo paese volesse a tutti i costi attaccare l’Europa occidentale. La gente non capisce? Le nostre differenze erano con il regime comunista sovietico. E ora, voltiamo le spalle alle stesse persone che hanno organizzato la più grande rivoluzione della Storia per porre fine al regime sovietico, e senza spargimento di sangue!».
Nello stesso articolo pubblicato sulla rivista Foreign Affairs, George Kennan osservava che esiste una “disonestà” nel ragionamento americano. Gli Stati Uniti spiegano da un lato che la NATO deve continuare ad avanzare per evitare il rischio di un intervento russo nelle ex repubbliche sovietiche, sapendo dall’altro che l’avanzata della NATO sarebbe vissuta dai russi come un’aggressione diretta alla quale dovrebbero necessariamente rispondere. In realtà, gli americani mettono i piedi nella tagliola del paradosso filosofico della profezia che si autoavvera: X attacca preventivamente Y pensando che Y lo attaccherà, così che Y si difende e attacca a sua volta. Alla fine, X può effettivamente dire: «Y mi ha proprio attaccato, avevo ragione a prevenire il suo attacco», senza vedere che l’attacco di Y, che era l’intera causa della sua aggressione preventiva, è soprattutto il suo effetto.
Non si potrà che condannare la Russia qualora entri in Ucraina per difendere la Repubblica Autonoma popolare di Donetsk, vicina alla sua caduta. Limitandosi a questa evidente convinzione, ci si dimenticherebbe di chiedersi chi siano tutti i giocatori che hanno spinto le pedine così lontano. E si ometterebbe allora di riconoscere che al di là della responsabilità diretta della Russia, la responsabilità americana, ancorché indiretta, non è affatto nulla nelle crescenti tensioni che l’Ucraina potrebbe continuare a vivere domani.
L’Europa, anch’essa impegnatasi fin dall’inizio del conflitto dando voce al confronto contro la Russia, non fa eccezione. Attraverso le sue sanzioni economiche, il vecchio continente solleva con zelo la spinta verso gli estremi, senza vedere che la politica di demonizzazione della Russia va in senso contrario alle lezioni duramente apprese nelle due guerre mondiali: anche se solo le democrazie non si fanno la guerra, ogni sentimento di umiliazione allontanerà la Russia dalla democrazia e attizzerà semmai il nazionalismo. Coloro che criticano unilateralmente Putin senza cercare tutti i dettagli del caso sono davvero di cortissime vedute: la questione non è tanto Putin quanto chi gli succederà nel 2022. Fino ad allora, vogliamo che Vladimir Vladimirovic sia superato dai democratici alla sua sinistra o dai nazionalisti alla sua destra?
L’Unione europea, nel chiedere all’Ucraina di scegliere tra l’Europa e la Russia attraverso il suo accordo di associazione, e gli Stati Uniti, nel desiderare a tutti i costi di espandere la NATO, hanno scelto il percorso dello scenario catastrofico. La questione è se si tratti di un errore o di malafede da parte dell’Occidente.
Alexis Feertchak è fondatore del sito web e l’applicazione I-philo. Collabora con la rivista Philo magazine.
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