Ciò che abbiamo visto in questi giorni in Palestina conferma l’impressione di una sostanziale assenza dell’Europa. E di una debolezza del ruolo italiano, in particolare in questa fase di Presidenza del semestre europeo. In questa catastrofe umanitaria il silenzio non può essere accettato, si rischia l’inadeguatezza nel svolgere il proprio ruolo. E’ giunta l’ora che la comunità internazionale e l’Unione Europea dicano una parola netta e chiara: cessate il fuoco immediato, fine dell’assedio a Gaza, riapertura di un collegamento con la Cisgiordania, creazione di una forza di interposizione pacifica, fine dell’occupazione. Le condizioni per un vero processo di pace vanno tutte ricostruite e l’Italia deve svolgere un ruolo primario.
Abbiamo visto coi nostri occhi le conseguenze di una guerra devastante. I bambini feriti e mutilati all’ospedale St. Joseph di Gerusalemme Est (dove arrivano molti feriti da Gaza) ci hanno riempito il cuore di compassione e di rabbia. Basterebbero queste immagini a dare il senso del perché è necessario costruire la pace e non solo invocarla. Qui abbiamo incontrato il dottor Adel Minsk del Parent’s Circle, associazione che unisce i parenti delle vittime israeliane e palestinesi di questo conflitto.
Impressionante e commovente è stata poi la visita al Medical Relief Society (associazione che porta gli aiuti sanitari a Gaza, molti grazie alla solidarietà italiana), il segno tangibile che a Gaza manca tutto: medicine, generi alimentari, perfino acqua e luce. Nella Striscia ci sono 10mila feriti e alcuni ospedali sono distrutti. Gaza è una gabbia apocalittica, i famosi tunnel non servono solo ai razzi di Hamas, sono il tramite della libertà di muoversi per cercare cibo, medicinali. Nell’associazione sono impegnati tanti volontari, ma i camion con gli aiuti impiegano tre giorni per raggiungere Gaza. Troppo tempo, troppo tempo.
Ma non c’è soltanto Gaza. Ormai la situazione in Cisgiordania rischia di esplodere alla luce dei disordini che si stanno già verificando, come quello di ieri. Il rischio è che in tutti i territori palestinesi esploda la tensione e la repressione sproporzionata di Israele: 24 parlamentari palestinesi sono in prigione. Serve una mediazione di pace e la speranza viene riposta nel vertice di queste ore in Egitto.
E poi abbiamo visto Hebron, città fantasma della Cisgiordania, che simboleggia meglio di qualsiasi altro luogo la crudele oppressione perpetrata dai soldati israeliani ai danni dei civili palestinesi. Hebron secondo gli accordi di Oslo deve essere palestinese. Di fatto oggi è una città dove i palestinesi non sono liberi di circolare e di vivere, una città strangolata tra la pressione prepotente dei coloni e le minacce dell’ esercito israeliano. Una città che nella parte storica è diventata da vivace e dinamica come era, a spettrale perché i palestinesi sono stati costretti a lasciare le loro case alla bulimia del governo israeliano.
Aldilà del conflitto che insanguina la Palestina, c’è una società che resiste e vuole vivere nella normalità. Abbiamo visitato a Betlemme il conservatorio musicale e l’orchestra giovanile palestinese. Ci ha fatto da guida il direttore del Conservatorio Edward Said Michele Cantoni, un violinista italiano trapiantato qui, anche lui rappresenta un’Italia che ci conforta. A me era capitato di sentire questa bravissima orchestra in piazza Signoria a Firenze. Fa stupore perché mostra al mondo donne e uomini palestinesi fuori dallo stereotipo ben coltivato in Israele dell’arabo ‘terrorista e barbaro’.
Il linguaggio universale della musica e dell’ arte può arrivare laddove la razionalità del potere usa mezzi che devono diventare tabù: la manipolazione e la distruzione fisica. A Betlemme abbiamo fatto visita anche alla parrocchia cristiana e al centro lì gestito che accoglie bambini gravemente non autosufficienti. Ci ha accolto Don Mario di San Sepolcro, sorridente e pungente: “Benvenuti a voi parlamentari italiani, non capitava da tempo”. Incontriamo anche dei giovani volontari italiani, un’Italia che ci apre il cuore e che non resta ferma a guardare, non è silenziosa e complice come stanno facendo molti Governi europei, tra cui quello italiano.
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