Siria: l'opposizione sorride, ma Qusayr si muore

In Giordania Kerry, opposizioni e Paesi del Golfo abbandonano la diplomazia e preparano la guerra. Gli Stati Uniti si piegano al volere dei ribelli.

Siria: l'opposizione sorride, ma Qusayr si muore
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24 Maggio 2013 - 09.58


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di Michele Giorgio

Sorridevano ieri i capi dell’opposizione siriana in apertura dei
tre giorni di colloqui che avranno a Istanbul. Erano soddisfatti
per gli esiti della riunione ad Amman degli 11 Paesi, Usa in
testa (ma c’è anche l’Italia), che compongono il nucleo
principale dei cosiddetti «Amici della Siria» e che mercoledì, di
fatto, hanno buttato nel cestino dei rifiuti l’intesa per la
conferenza internazionale sulla Siria – il prossimo mese a
Ginevra – raggiunta dal Segretario di Stato John Kerry e dal
ministro degli esteri russo Lavrov.

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Se Usa e Russia, appena qualche giorno fa, avevano deciso di
andare alla conferenza senza chiedere l’uscita di scena del
presidente Bashar Assad prima della «transizione politica» in
Siria, in Giordania gli «Amici della Siria» e, quindi, lo stesso
Kerry, hanno deciso l’esatto contrario. Assad deve farsi da parte
immediatamente, come desiderano l’opposizione siriana (o gran
parte di essa) e, soprattutto, la Turchia e il Qatar.

Una dimenticanza di parte

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Gli «Amici della Siria» hanno anche chiesto l’uscita immediata
dalla Siria dei guerriglieri del movimento sciita libanese
Hezbollah (che l’Europa si accinge a proclamare «organizzazione
terroristica», come chiede Israele) e di quelli iraniani
schierati con Damasco, dimenticando i jihadisti ceceni, libici,
egiziani, tunisini e di molti altri paesi che combattono dalla
parte dei ribelli. «È un comunicato molto positivo (quello degli
«Amici della Siria», ndr), in ogni caso alla conferenza di
Ginevra noi andremo solo con l’uscita di scena immediata di
Assad», ha commentato un portavoce dell’opposizione siriana,
Louay Safi.

Nel disinteresse generale ad Amman si è deciso che la soluzione
per la Siria sarà la guerra. Assad non ha alcuna intenzione di
farsi da parte prima della scadenza del suo mandato nel 2014 e
certo non lo farà prima dell’avvio dell’ipotetica «transizione
politica» disegnata da Kerry e Lavrov. A maggior ragione non
uscirà di scena ora che l’Esercito governativo siriano è
all’offensiva nel Sud e dell’Ovest del Paese e ha, o avrebbe,
conseguito successi significativi. Da parte loro anche Qatar e
Turchia, sponsor dei Fratelli Musulmani e dell’Esercito libero
siriano, e l’Arabia saudita che sostiene i jihadisti del Fronte
al Nusra, credono soltanto in una soluzione militare e
continueranno a spingere per un intervento internazionale (ossia
degli Usa), a cominciare dall’imposizione di una «no-fly zone»
per togliere alle Forze Armate siriane la superiorità aerea.

La guerra perciò va avanti e si combatte per il controllo della
regione di Qusayr, una porzione di territorio siriano tra Homs e
la Valle della Bekaa libanese di eccezionale importanza
strategica che i ribelli hanno conquistato oltre un anno fa.
L’Esercito siriano, sostenuto da centinaia di combattenti delle
unità di elite del movimento libanese Hezbollah – che giustifica
la sua partecipazione alla battaglia di Qusayr con la necessità
di “difendere” le migliaia di sciiti di origine libanese che
vivono in quella porzione di territorio siriano -, nei giorni ha
fatto alcuni rapidi progressi, grazie anche al blocco sul confine
libanese dei canali di traffico di armi e di ingresso di
miliziani sunniti. La riconquista di Qusayr porterebbe, con ogni
probabilità, le forze governative a recuperare il controllo di
tutta Homs e di Rastan.

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25 mila civili in trappola

Tuttavia i ribelli mantengono posizioni importanti nella città
ridotta in macerie in molte zone e dove sono intrappolati almeno
25 mila civili. Mercoledì l’opposizione siriana ha esortato i
suoi miliziani in tutto il Paese a «correre in soccorso di
Qusayr» e di attaccare i guerriglieri di Hezbollah. I
combattimenti più intensi avvengono in queste ore lungo la strada
che porta al piccolo aeroporto di Dabaa. Fonti indipendenti
prevedono almeno un’altra settimana di combattimenti prima che la
battaglia possa dirsi conclusa a favore dell’Esercito
governativo. E l’esito però potrebbe non essere scontato se
davvero a Qusayr riusciranno ad affluire altri miliziani
dell’opposizione, provenienti dalle zone circostati di Yabroud e
Qalamoun.

Nel frattempo si moltiplicano le morti tra gli schieramenti
opposti. I ribelli armati uccisi a Qusayr sino ad oggi sarebbero
oltre cento e decine di caduti si registrano anche tra i
guerriglieri di Hezbollah che sta giocando una difficile partita
anche al suo interno dove non mancano voci contrarie
all’intervento in Siria.

Rafiq Nasrallah, un analista politico di Beirut, che è vicino al
movimento sciita, sostiene che Hezbollah non può rimanere fuori
dalla guerra civile in Siria perché dagli esiti di quel conflitto
dipendono delicatissimi equilibri regionali, a partire dal
rischio di un maggior isolamento dell’Iran in seguito alla caduta
di Bashar Assad e dell’ascesa al potere a Damasco di forze
sostenute dall’asse Turchia-Qatar. Allo stesso tempo tra gli
sciiti libanesi non tutti sono convinti dell’opportunità di
questo coinvolgimento militare di Hezbollah, anche per le
ricadute che ciò potrebbe avere nel Paese dei Cedri.

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L’ex primo ministro libanese Saad Hariri, un sunnita alleato
dell’Arabia Saudita, ha protestato accusando Hezbollah «di
commettere gli stessi crimini di Israele contro il Libano e la
sua gente e applicarli agli abitanti della città siriana di
Quseir». Parole che hanno contribuito ad incendiare la città di
Tripoli, sempre più coinvolta dal conflitto siriano.

Nei giorni scorsi almeno 11 miliziani sono rimasti uccisi negli
scontri a fuoco tra gli estremisti sunniti di Bab Tabbaneh e gli
alawiti (sostenitori di Assad e di Hezbollah) del Jabal Muhsen. I
feriti sono stati oltre trenta e sulla scena cominciano ad
apparire armamenti sempre più pesanti e distruttivi.

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