Le Nazioni Unite accusano i “ribelli” dell’utilizzo di gas nervino, la cosiddetta “linea rossa” per la quale Damasco rischia l’intervento esterno. O almeno, lo fa Carla Del Ponte, ex procuratore del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia, stilando un rapporto in cui si dice a chiare lettere: “I nostri investigatori sono stati nei Paesi vicini per intervistare vittime, medici e ospedali da campo e, secondo i rapporti che hanno presentato la scorsa settimana, ci sono sospetti concreti e forti – seppur non prove incontrovertibili – dell’utilizzo di gas nervino. L’uso è avvenuto da parte delle opposizioni, dei ribelli, e non del governo”.
Pronta è la risposta del governo di Washington. Le armi chimiche in Siria non sono state usate dai ribelli ma «molto probabilmente» dal regime di Assad. La Casa Bianca respinge così quanto sostenuto dal membro della Commissione di indagine Onu sulle violazioni dei diritti umani in Siria. Il portavoce Jay Carney ha detto che gli Stati Uniti sono «altamente scettici» riguardo a quanto suggerito dalla Del Ponte, e «ritengono altamente probabile che qualsiasi uso di armi chimiche sia avvenuto in Siria è stato compiuto dal regime di Assad».
La pistola fumante non c’è ancora, né per quel che riguarda i ribelli siriani né per Bashar Assad. E la parola passa all’Onu. «Non sono state raggiunte prove conclusive circa l’uso di armi chimiche in Siria da alcuna delle parti in conflitto», ha affermato la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, smentendo le affermazioni del proprio membro Carla Del Ponte.
Ma la preoccupazione vera, in queste ore, è che esploda un conflitto diretto tra Israele e Siria, tecnicamente in guerra dal 1967. Dopo i due raid aerei in territorio siriano nel giro di appena 48 ore, Israele cerca di placare il regime di Bashar al-Assad, chiarendo che suo unico obiettivo rimangono le milizie sciite libanesi di Hezbollah, cui sarebbero stati destinati i missili distrutti nei bombardamenti, e non Damasco.
Lo Stato ebraico avrebbe inoltre fatto pervenire allo stesso Assad, tramite i canali diplomatici, un messaggio segreto nel quale chiarisce di non avere la minima intenzione di interferire nel conflitto tra lealisti e ribelli. Almeno pubblicamente, però, la Siria ha manifestato di non considerare sufficienti tali precisazioni e oggi due razzi sparati sono finiti nel Golan, che Israele occupa dal 1967.
Fonti governative riservate hanno anzi ribadito che ci sarà una «risposta all’aggressione» subita, e che sarà il regime a decidere quando darla: non necessariamente a breve termine, anche perché in questo momento «gli israeliani sono in stato di massima allerta». Damasco intende pertanto «aspettare», ma una reazione a suo dire ci sarà comunque.
Dal canto suo il vice capo dello stato maggiore interforze iraniano, generale Masoud Jazayeri, ha respinto le accuse d’Israele, sostenendo che le armi prese di mira, quali che fossero e a chiunque fossero indirizzate, non provenivano da Teheran, del cui aiuto la Siria «non ha bisogno».
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