Amnesty International ha denunciato che, giorni fa, un uomo ha
ucciso in una pubblica piazza davanti a 300 persone nel
villaggio di Kookchaheel (provincia nord-occidentale di Badghis)
la figlia Halima, di 18 o 20 anni, colpevole di aver
disonorato la famiglia.
L’esecuzione della ragazza, madre di due figli, risale al 22
aprile ma è venuta alla luce dopo che la ong umanitaria l’ha
rivelata alla stampa. Il suo destino è stato deciso da un
consiglio di tre anziani, apparentemente legati ai talebani, che
l’hanno riconosciuta colpevole di essere fuggita con un cugino
quando il marito si trovava in Iran per lavoro, ed hanno firmato
una fatwa (editto religioso) con la condanna a morte.
In effetti la fuga c’è stata, ed il cugino ha però
riportato la ragazza nel villaggio dopo una decina di giorni
senza spiegazioni, rendendosi poi latitante.
Ottenuto il via libera dagli anziani, il padre della ragazza
ha portato la figlia in piazza e personalmente le ha sparato tre
colpi di kalashnikov in testa, petto e pancia, lasciandola in un
lago di sangue.
Ora sia il padre di Halima, sia i tre membri del consiglio
religioso che hanno firmato l’esecuzioni si sono resi
irreperibili, mentre la polizia ha aperto un’inchiesta.
Commentando l’episodio Horia Mosadiq, ricercatrice
sull’Afghanistan presso Amnesty International, ha sottolineato
che “la violenza contro le donne continua ad essere un male
endemico e assai di rado i responsabili di essa vengono
puniti”.
“Non solo le donne afghane devono far fronte alla violenza
che proviene da parenti che sostengono di voler preservare il
cosiddetto onore famigliare – ha concluso – ma spesso vedono i
loro diritti calpestati da verdetti emessi da sistemi di
giustizia tradizionale e informale”.