1 maggio. Sud Africa, sciopero ad oltranza
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1 maggio. Sud Africa, sciopero ad oltranza

I lavoratori si battono per l’aumento del salario minimo e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Il Paese fa ancora i conti con i lasciti del regime di segregazione.

1 maggio. Sud Africa, sciopero ad oltranza
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1 Maggio 2013 - 16.47


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di Rita Plantera

Primo Maggio di sciopero per molti lavoratori sudafricani. Il malcontento è esploso la scorsa settimana con la marcia di protesta degli insegnanti a Pretoria e per le strade di Cape Town e con i conducenti degli autobus che hanno dato il via allo sciopero nazionale dei trasporti. Inizia così maggio, deputato a essere mese di trattative e contrattazioni per molti settori tra cui anche quelli minerario, manifatturiero e chimico.

Al centro delle richieste c’è essenzialmente l’aumento del minimo salariale, veramente minimo per la maggioranza dei lavoratori che non occupano posti di management aziendali. Vale a dire per la maggioranza dei lavoratori non bianchi. Benché rivolte contro le politiche del lavoro delle grandi aziende e contro quelle del governo, le proteste stanno colpendo nell’immediato soprattutto i lavoratori che da molte baraccopoli ogni mattina prendono l’autobus per recarsi nelle zone industriali. Un’ondata di pendolari, molti dei quali non posseggono una macchina, in coda presso le stazioni dei taxi collettivi e costretti a costi di trasporto aggiuntivi per molti di loro non sostenibili a lungo termine, soprattutto considerando il fatto che le tariffe dei taxi sono aumentate di più del 200% nel giro di dieci giorni.

Insieme ai pendolari a soffrire una situazione che trova come ogni anno negli scioperi di questo periodo semplicemente una valvola di scarico, sono anche gli studenti delle scuole elementari e medie delle zone rurali dell’Eastern Cape. Da qui infatti sono partite [b]le proteste degli insegnanti per i quali lo svolgimento del lavoro è una conquista giornaliera in aule sovraffollate, in molti casi senza banchi, e con mattoni al posto delle sedie, senza acqua e in condizioni igieniche che violano la dignità e i diritti umani essenziali.[/b]

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La cosa più triste è osservare che tutto questo rappresenta nulla di nuovo sotto il sole sudafricano.
I minatori, così come i lavoratori delle aziende agricole, gli insegnanti dell’Eastern Cape e gli autisti degli autobus ottengono retribuzioni veramente basse. Questi ultimi chiedono un salario minimo di 6000 rand (circa 509 euro) sussidi di 1000 rand (meno di 85 euro) per gli alloggi e maggiori aiuti finanziari di assistenza medica. Richieste considerate onerose dai datori di lavori e sulle quali non si riesce a trovare alcun accordo in sede di contrattazione.

Situata nella Hex River Valley, De Doorns, a 100 chilometri da Cape Town, rappresenta l’epicentro degli scioperi dei lavoratori delle aziende agricole del Western Cape e sinonimo di scontri con le forze di polizia, tra lanci di pietre, proiettili di gomma e copertoni bruciati. Dei circa 16mila lavoratori, circa la metà è impiegata a tempo indeterminato mentre l’altra metà è stagionale e proviene da altre province o da altri Paesi di confine. In un rapporto dell’agosto 2011 sullo stato dei diritti umani nei settori frutticolo e vinicolo in Sudafrica intitolato “Ripe with Abuse. Human Rights Conditions in South Africa’s Fruit and Wine Industries”, Human Rights Watch aveva documentato condizioni di sfruttamento e violazione dei diritti umani a cominciare dalle condizioni di vita inadatte negli alloggi, l’esposizione senza alcuna protezione ai pesticidi, la mancanza di accesso ai servizi igienici e all’acqua potabile durante le ore di lavoro e i tentativi di scoraggiare e bloccare la formazione di sindacati tra i lavoratori. A gennaio scorso, sei mesi dopo i il massacro di Marikana, città a 100 km da Johannesburg, quando 34 minatori in sciopero della miniera di platino Lonmin vennero uccisi dalla polizia, le forze dell’ordine hanno nuovamente aperto il fuoco sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro questi lavoratori in sciopero da giorni per un salario più dignitoso e ne hanno arrestati 44. Guadagnavano 69 rand (meno di sei euro) al giorno; ora tra le lagne dei datori di lavoro – che sostengono di non potersi permettere aumenti di paga e minacciano di meccanizzare la catena di lavoro – hanno ottenuto di guadagnarne 105 al giorno (meno di nove euro).

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E cosa dire del settore minerario sudafricano che è sempre più stretto nella morsa delle logiche di mercato, delle rivalità sindacali che indeboliscono il potere contrattuale dei lavoratori e delle disparità di reddito che vedono una forza lavoro analfabeta e sottopagata subire i costi più alti in termini di sopravvivenza?

A febbraio gli scioperi sono violentemente riesplosi nella regione mineraria a ridosso di Johannesburg, tra la cintura di platino delle miniere di Rustemburg e le baraccopoli circostanti da dove proviene la maggior parte dei minatori.
Dopo che a gennaio l’Anglo American Platinum Limited (AMPLATS), il maggior produttore di platino a livello mondiale, ha annunciato di volere tagliare circa 14mila posti di lavoro, c’è attesa per il prossimo 6 maggio quando dovrebbe essere reso noto l’esito delle trattative con il governo e i sindacati sul nuovo piano industriale e la sorte dei lavoratori che rischiano di perdere il lavoro.

Il quadro di riferimento alla base di quest’autunno caldo in Sud Africa sfugge a una semplicistica analisi economica se ricondotta alle sole ragioni della crisi economica globale.
Il framework è piuttosto quello segnalato dalla tredicesima edizione del rapporto dell’Equity Employment Commission, per i settori pubblico e privato, secondo cui nel 2012 solo il 12,3% delle posizioni di top management risulta occupata da neri a fronte del 72,6% di quelle occupate dai bianchi e questo nonostante ci siano leggi come l’Employment Equity Act del 1998 a tutela dei lavoratori di colore.

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Diciannove anni dopo la fine dell’apartheid il Sud Africa fa ancora i conti da un lato con l’eredità di quel regime di segregazione – che negando l’accesso all’istruzione alla maggioranza della popolazione ha creato masse di lavoratori non qualificati e, attraverso politiche economiche a tutela degli interessi della sola minoranza bianca, una povertà strutturata – e dall’altro con l’incapacità delle amministrazioni del post-apartheid di trovare adeguate e radicali soluzioni per la creazione di nuovi posti di lavoro e per garantire a tutti un sistema scolastico adeguato.

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