L'ingannevole ottimismo di John Kerry
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L'ingannevole ottimismo di John Kerry

Un incomprensibile clima favorevole ha accompagnato la missione in Israele e Territori occupati del Segretario di Stato. Palestinesi e Israeliani erano e restano lontani

L'ingannevole ottimismo di John Kerry
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10 Aprile 2013 - 09.35


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di Michele Giorgio

Ostentava ottimismo ieri il Segretario di stato John Kerry dopo la sua nuova spola fra Gerusalemme e Ramallah. «Abbiamo fatto progressi», diceva compiaciuto ai giornalisti al termine di due giorni di incontri avuti con i leader israeliani e palestinesi. «Siamo contenti della sostanza delle discussioni e abbiamo tutti convenuto di dover fare dei compiti a casa», ha detto il capo della diplomazia americana in una conferenza stampa a Gerusalemme assieme al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Quest’ultimo, sorridente, ha prontamente offerto il suo appoggio. «Sono determinato a compiere uno sforzo serio per mettere fine al conflitto con i palestinesi», ha assicurato.

E concilianti erano state anche le frasi pronunciate l’altro giorno dal presidente palestinese Abu Mazen durante e dopo i colloqui a Ramallah con Kerry, ben diverse da quelle dettate dal cattivo umore successive all’incontro del mese scorso con Barack Obama.

Uno strano, incomprensibile clima “positivo” ha accompagnato questa nuova missione di Kerry in Medio Oriente, avvenuta poche settimane dopo il viaggio in Israele di Obama. Strano se si tiene conto che il Segretario di Stato nei passati due giorni ha percorso solo pochi metri di un viaggio che al momento appare senza fine. Le differenze tra le parti rimangono inalterate. Per tornare alle trattative Abu Mazen chiede il rispetto della legalita’ internazionale: stop totale dell’espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati, la definizione da parte di Israele dei suoi confini con il futuro Stato di Palestina e la liberazione dei detenuti politici. A cominciare da Samer Issawi, in sciopero della fame da otto mesi e rimasto in vita solo per le flebo di sali e di zucchero che gli somministrano i medici israeliani. Le sue condizioni sono disperate, il suo cuore batte sempre più debolmente e potrebbe fermarsi da un momento all’altro.

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Issawi non cede, è pronto a contestare fino alla morte la sua detenzione, morte che scatenerebbe la rabbia dei palestinesi e forse quella terza Intifada di cui si parla da tempo. Ma da Israele non arriva alcun gesto, se non la proposta di una deportazione a Gaza che il detenuto in sciopero della fame rifiuta seccamente.

Persino John Kerry ha sottolineato i rischi legati al caso Issawi e alla questione dei quasi 5mila detenuti politici palestinesi ancora in carcere in Israele, durante l’incontro con Netanyahu. Il premier deve averlo ascoltato distrattamente perchè dalla sua lista di «proposte di soluzione» è uscita solo la solita idea di un piano economico a favore dei palestinesi – in evidente sostituzione di quello politico – e una serie di condizioni per la trattativa: discutere subito di accordi di sicurezza e del riconoscimento da parte di Abu Mazen di Israele come “Stato del popolo ebraico”.

Due punti che pesano come un macigno e che, secondo quanto si è letto due giorni fa sulla stampa israeliana, il ministro della giustizia Tzipi Livni, con un incarico per le (possibili) trattative, riterrebbe ormai uno scoglio da spostare ad una fase successiva se si vuole riavviare il negoziato. Senza dimenticare che Netanyahu non intende fermare la colonizzazione, fortemente sostenuta peraltro da diversi partiti della sua coalizione di destra.

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Di fronte a ciò risulta ingiustificato l’ottimismo, seppur cauto, di Kerry.

Non è chiaro peraltro se nei colloqui con Netanyahu, il Segretario di Stato abbia rispolverato, come si diceva, l’iniziativa di pace saudita del 2002 – normalizzazione dei rapporti in cambio del ritiro totale di Israele dai territori che ha occupato nel 1967 – che i paesi arabi sono tornati a discutere qualche giorno fa, in coincidenza con la missione di Kerry.

Si è parlato anche di Siria e di Iran in questi giorni e per rassicurare Netanyahu il Segretario di stato ha ribadito quanto aveva detto il mese scorso Barack Obama a Gerusalemme: gli Stati Uniti non permetteranno a Tehran di costruire la bomba atomica (l’Iran nega di volersi dotare di armi di distruzione di mass).

Del programma nucleare iraniano, israeliani e americani torneranno a discutere molto presto, dal 21 al 23 aprile, quando il Segretario alla Difesa Chuck Hagel effettuerà la sua prima visita nello Stato ebraico.Nena News

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