da Londra
Francesca MarrettaEra sopravvissuto a numerosi tentativi di assassinio Boris Berezovsky, l’ex oligarca russo trapiantato a Londra dal 2000, la cui morte, come scrive la stampa di Mosca, chiude un’era. Berezovsky, a cui l’asilo politico in Gran Bretagna fu accordato nel 2003, è stato trovato morto nella vasca da bagno nella sua tenuta di Ascot (valore dieci milioni di sterline) sabato pomeriggio.
Prima rifugiarsi oltremanica l’ex “Rasputin” del Cremlino ai tempi di Boris Elsin fu tra i primi negli anni ’90 a fare tesoro, e non in senso lato, del collasso del comunismo e della privatizzazione delle ricchezze statali della Russia, dove avrebbe voluto tornare. Per farlo, poco prima di morire, aveva scritto e chiesto perdono al suo nemico di sempre, Vladimir Putin, che cercò prima di combattere fondando un partito politico in Russia, poi, dopo assassinii di esponenti di punta della stessa formazione politica, dall’esilio londinese.
E dire che senza Berezovsky Putin non sarebbe dove si trova ora. Fu anche grazie all’oligarca che l’ex esponente dei servizi segreti sovietici e poi russi, che sarebbe diventato Presidente, Primo Ministro e di nuovo Presidente in odore di brogli elettorali, fece il suo ingresso nella cricca di potere del Cremlino. Berezovsky commise l’errore di considerare Putin una specie di ectoplasma di Elsin, per trovarsi costretto alla fuga.
La morte dell’ex oligarca non rievoca il caso Litvinenko, ex agente del Kgb ucciso nel 2006 con del polonio nel tè a Londra a cui Berezovsky aveva comprato casa e offerto protezione a Londra. La squadra di Scotland Yard specializzata in sostanze chimiche, bilogiche, radiologiche e nucleari, inviata nella villa del magnate russo, dove ancora si trova il cadavere, ha escluso ogni ipotesi di contaminazione. La vicenda Litvinenko ha fatto registrare livelli di tensione diplomatica tra Londra e Mosca che trovano paragoni solo coi tempi della guerra fredda.
Se non si può mettere per ora da parte l’ipotesi di una fine sospetta, è anche plausibile che Berezovsky sia morto d’infarto o che si sia suicidato.
La villa in cui viveva era blidata, letteralmente a prova di bomba. In più di un’occasione l’ex oligarca aveva dichiarato che Vladimir Putin sarebbe stato disposto a “uccidere chiunque” considerasse un nemico della sua Russia.
Nei giorni che ne hanno preceduto la morte Berezovsky era sotto moli aspetti un uomo finito, non solo perchè dal 2011 aveva perso battaglie legali in tribunale contro ex amici poi diventati acerrimi nemici come Roman Abramovic (danno economico tre miliardi di sterline), altro magnate noto all’estero in quanto patron del Chelsea, o con ex conviventi. Il 18 marzo scorso The Times ha scritto che Berezovsky stava tentando di vendere dalla sua collezione un quadro di Andy Warhol raffigurante Lenin. Segno che la mega-fortuna finanziaria che aveva accumulato si era notevolmente ridimensionata.
Quello che appare evidente, guardando agli ultimi giorni dell’ex Rasputin caduto in disgrazia, è che Berezovsky si era dovuto rimangiare l’orgoglio. Il tentativo di riavvicinamento col Cremlino, cospargendosi il capo di cenere, lo dimostra.
Per ottenere da Putin un nulla osta per rietrare in Russia Berezovsky sapeva di doversi inginocchiare. Dall’esilio londinese aveva cercato di incastrare Putin in tutti i modi, per esempio mettendo in piazza le rivelazioni dell’ex 007 Litvinenko secondo cui il Cremlino aveva organizzato il bombardamento di palazzi a Mosca nel 1999 incolpando estremisti islamici, in modo da giustificare il secondo intervento in Cecenia.
Di recente la versione russa della rivista Forbes ha pubblicato un’intervista a Berezovsky in cui quest’ultimo diceva che la sua vita non aveva più molto senso, di sentire nostalgia della Russia e di aver commesso molti errori. «Ho cambiato opinione su molte cose. Avevo una visione idealista sulla costruzione della democratizia in una futura Russia e sulla democrazia nell’Europa centrale», si legge nell’intervista.
Se media di Mosca definiscono la morte di Berezovsky, che cominciò la scalata al potere importando mercedes alla caduta del cominismo, come “la fine di un’era”, potrebbero forse aggiungere che per farla davvero finita con la Russia dei complotti e delle manovre torbide mutuate dal Kgb, dovrebbero sparire dalla scena anche personaggi come Vladimir Putin.
Ma questo la stampa di un paese che mette in galera le Pussy Riot non può scriverlo.
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