Una connection nord e sudamericana ha portato al soglio di Pietro il Papa argentino che ha deciso di chiamarsi Francisco. Il brasiliano Claudio Hummes, l’honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, gli statunitensi Timothy Dolan e William Levada, sono i cardinali che hanno messo insieme con pazienza e strategia perfetta il pacchetto di mischia sul quale è stato costruito l’elezione di Bergoglio. Molti osservatori hanno infatti sottovalutato la ventina di voti di cardinali africani e asiatici sui quali invece hanno lavorato intensamente gli americani, il cardinale Levada in testa. Va detto che un uomo esperto come Camillo Ruini ha provato a mobilitare nei giorni precedenti il conclave un po’ di consenso per Scola nell’area extraeuropea, quindi ha vagliato l’ipotesi di una candidatura Dolan. Ma Ruini ormai è piuttosto anziano e non è entrato in conclave perché ultraottantenne, la sua assenza ha di certo fatto diminuire le chance di un papa italiano. Il cardinal sottile infatti è uno dei pochi abili tessitori di alleanze che vanta il nutrito gruppone di cardinali italiani.
La candidatura Bergoglio è cominciata a crescere nei giorni immediatamente precedenti l’ingresso nella Sistina quando si cominciava a delineare una difficoltà a superare le divisioni fra i vari candidati e le diverse cordate. Un ruolo decisivo lo hanno di certo giocato gli americani, ma anche un pezzo della Curia ha cercato alla fine una sponda nell’argentino di Buenos Aires contro il brasiliano Sherer sostenuto dai cardinali Sodano e Sandri. Così Bergoglio si è ritrovato un bonus di voti compreso fra i 37 e i 45, che non sono stati spesi subito ma dopo le prime fumate andate a vuoto in cui la concorrenza fra i vari papabili si consumava senza che nessuno riuscisse realmente ad approfittarne.
Sembra invece ormai smentita la previsione di chi attribuiva a Scola una cinquantina di voti già prima di entrare in conclave, se così fosse stato davvero oggi la Chiesa avrebbe un altro Papa. Ieri fonti giornalistiche hanno fatto circolare l’ipotesi di uno Scola che dopo i primi tre scrutini si sarebbe tirato indietro per non creare divisioni nella Chiesa. E tuttavia di fronte alla frammentazione del voto su almeno quattro nomi, il ritiro dell’arcivescovo di Milano non sarebbe risultato decisivo per far passare Bergoglio il quale aveva comunque una sua massa critica di elettori in grado di smuovere il conclave. Si vedranno nei prossimi giorni e mesi quali ricostruzioni emergeranno dal segreto della Sistina e tuttavia la piega che hanno preso gli eventi dimostra che la forza dell’arcivescovo di Milano è stata sopravvalutata da alcuni media alla vigilia dell’elezione.
Un’immagine poi colpiva guardando la loggia centrale del Vaticano la sera dell’elezione di Bergoglio. Vicino al nuovo papa c’era un cardinale, Claudio Hummes, ex arcivescovo di San Paolo in Brasile ed ex prefetto della Congregazione per il clero. Hummes è forse l’ultimo dei grandi cardinali del Brasile eredi, sia pure politicamente non esasperati, della teologia della liberazione. E’ un francescano amico e maestro dell’ex presidente progressista del grande Paese latinoamericano Ignacio Lula con il quale diffondeva il Vangelo della giustizia sociale fra gli operai; il cattolicesimo di Lula si è formato alla scuola di dom Claudio e frei Betto, il domenicano pensatore e studioso appassionato del movimento liberazionista.
Hummes è stato pochi anni in Vaticano dove ha sofferto il soffocamento curiale, ma durante il conclave ha svolto un ruolo decisivo portando brasiliani e sudamericani a non votare il suo successore alla diocesi di San Paolo, Odilo Sherer, cardinale dal volto freddo che ha segnato una sorta di normalizzazione dell’esperienza di chiesa di base a San Paolo. Hummes ha quindi guidato i latinoamericani al voto verso Bergoglio facendo da catalizzatore insieme al salesiano Maradiaga del voto latino. Così quando il gesuita amico dei poveri Bergoglio e Hummes si sono affacciati insieme, non l’hanno notato in molti ma è stato il momento della rivincita della Chiesa latinoamericana che aveva espresso il dissenso più forte al tradizionalismo romano. Agli epigoni ormai anziani e fatti prudenti dall’esperienza di quel movimento, hanno offerto una sponda forte e decisa i cardinali nord-americani sulla carta di inclinazione conservatrice ma convinti della necessità di una svolta, della fine dello strapotere vaticano, dell’urgenza di portare la Chiesa in mezzo ai popoli che vivono la fede. Non solo: la Chiesa del nord America è ormai in gran parte latina e Papa Francesco di lingua spagnola spalancherà le porte al cattolicesimo degli States , a milioni di fedeli la maggior parte dei quali poveri immigrati. La prima ondata di voti per Bergoglio è stata poi completata dai cardinali africani e asiatici trattati con troppo disdegno dal gruppone diviso al suo interno degli oltre 60 porporati europei. Infine anche fra questi ultimi in diversi, a cominciare dai tedeschi, hanno optato per la svolta.