Sono fermi i lavori di costruzione del nuovo insediamento israeliano in terra palestinese iniziati tre mesi fa tra i villaggi di Khallet Al Louza e Wadi Rahal, a Sud di Betlemme. Dalle mappe l’area risulta essere all’interno della “State Land”, definizione stabilita unilateralmente da Israele nel 1967 attraverso l’ordine militare 59/967, strumento utilizzato dal governo di Tel Aviv per mettere in atto la confisca sistematica delle terre definite “pubbliche, statali o qualsiasi altra terra non registrata”.
“Li ho visti lavorare qui per più di un mese – racconta Mahmoud, un giovane palestinese che pascola le sue pecore in questa zona – Poi hanno levato le tende per via del brutto tempo”. E non è un modo di dire: le tende c’erano davvero. All’inizio, si trattava solo di uno straccio di tela bianca sotto cui si riparavano dal sole i coloni al lavoro. Ma già alla fine del mese, la piccola tenda si era trasformata in un largo tendone che si apriva sulla cima della collina, dominando completamente l’area circostante. Protetta giorno e notte da una decina di soldati e circondata da filo spinato, la tenda fortificata era l’embrione del nuovo insediamento la cui costruzione viola il diritto internazionale oltre che le stesse leggi israeliane, come spiega il Rapporto Sasson (rapporto ufficiale del governo israeliano dell’8 marzo 2005 che accusa le autorità israeliane di spendere milioni di shekel del bilancio pubblico per finanziare la costruzione di insediamenti illegali su terre private palestinesi).
“Il punto scelto per la costruzione è vitale perché permetterà di collegare la colonia di Efrat con quella di Tekoa ad Ovest, isolando Betlemme dalle aree a Sud e impedendone completamente lo sviluppo”, spiega Hasan, membro del comitato popolare del vicino villaggio di al-Ma’sara. Il corridoio verso Sud è infatti l’unico rimasto per l’espansione della città palestinese, circondata a Nord dal Muro di Separazione israeliano, ad Est dalla bypass road 398 (la cosiddetta Lieberman Road) e ad Ovest dal blocco di insediamenti di Gush Ezion. La strategia è chiara: Betlemme diverrà un’enclave palestinese, un’isola in mezzo ad un mare di colonie.
All’avvio della costruzione dell’insediamento, tre famiglie palestinesi hanno fatto ricorso alla Corte Suprema israeliana presentando i rispettivi certificati di proprietà della terra confiscata da Israele. La sentenza definitiva è attesa per marzo, anche se troppo spesso simili procedimenti giudiziari si trascinano a causa di continui ritardi. Ma sul terreno le costruzioni proseguono creando dati di fatto che cambiano irrimediabilmente le carte in tavola.
*Volontaria in Palestina del Servizio Civile Internazionale (SCI)