Israele (ri)propone uno Stato palestinese smilitarizzato
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Israele (ri)propone uno Stato palestinese smilitarizzato

Prove di dialogo tra Netanyahu e il presidente Mahamoud Abbas, alla fine dello sciopero della fame dei detenuti palestinesi. [Francesca Marretta]

Israele (ri)propone uno Stato palestinese smilitarizzato
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15 Maggio 2012 - 21.37


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da Londra

Francesca Marretta

L’Anp e il nuovo governo israeliano allargato a Kadima, ex principale partito di opposizione di cui ha preso in mano le redini Shaul Mofaz, hanno ripreso a parlarsi, anche se a distanza.

Sabato scorso il Premier israeliano Netanyahu ha fatto consegnare al Presidente palestinese Mahmoud Abbas una lettera in cui lo invita a risedersi al tavolo del negoziato per discutere della nascita di uno Stato palestinese smilitarizzato. La missiva di Netanyahu è giunta poco prima del raggiungimento dell’accordo che ha portato alla fine dello sciopero della fame dei detenuti palestinesi.

Il messaggio del Premier israeliano è la risposta alla lettera che Abbas gli aveva inviato il 17 aprile. Il messaggio di Abbas, recapitato prima dell’ingresso a sorpresa di Kadima nel governo, addossava a Netanyahu la colpa per lo stallo dei negoziati di pace, chiedendogli sostanzialmente di fare chiarezza al più presto sui seguenti (soliti) punti: soluzione dei due Stati basata sui confini del 1967, stop agli insediamenti e il rilascio dei prigionieri politici. «Restiamo pronti a riprendere immediatamente i negoziati se riceveremo risposta positiva su tali questioni», questo l’epilogo. Con l’occasione Abbas minacciava nuovamente lo scioglimento dell’Anp.

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Con le iniziative delle ultime ore, Netanyahu ha lanciato un osso ad Abbas e uno a Mofaz, nel tentativo di tenere buoni entrambi e continuare nell’azione di governo, come nella strategia di logoramento del nemico. Nella lettera inviata ad Abbas, come hanno rilevato i vertici dell’Olp, Bibi non affronta nessuna delle questioni chiave che interessano i palestinesi. I palestinesi però festeggiano la fine dello sciopero della fame dei detenuti, rivendicandola come una vittoria. Bibi si è spinto oltre, annunciando oggi, addirittura, la restituzione dei resti di 100 combattenti palestinesi sepolti in Israele. Piccolo neo in questo strabordare di buoni uffici diplomatici, è la tirata d’orecchie che gli è arrivata dall’Ue, criticata come un bastone tra le ruote, nel momento in cui si cerca di persuadere Abbas a un ragionevole ritorno al tavolo dei negoziati.

Bruxelles ha denunciato per l’ennesima volta l’accresciuta attività di colonizzazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme est, dicendo, quello che sanno sia Netanyahu che Abbas, ovvero che la soluzione dei due Stati diventa nei fatti incompatibile.

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Nulla di nuovo sotto il sole. Nonostante tutto, all’annuncio dell’ingresso di Kadima nel governo Netanyahu, il portavoce di Abbas, Nabil Abu Rudeina, ha dichiarato: «Facciamo appello alla coalizione di governo israeliana allargata perché imprima un’accelerazione per un accordo di pace con il popolo palestinese e i suoi leader».

Quello che è cambiato, mentre le elezioni americane si avvicinano, è che, mentre fino a ieri sia Abbas che Netanyahu erano leader deboli, ora Bibi (non più ostaggio dei religiosi e della destra oltranzista di Lieberman) si è assicurato la possibilità di rivincere alle prossime elezioni (lo stesso vale per Kadima), dopo che per mesi era stato contestato nelle piazze. Abbas resta un’anatra zoppa, che divide suo malgrado i Territori palestinesi con Hamas (la riconciliazione può attendere). I palestinesi sono però parte di quel fronte regionale sunnita che con Israele ha un obiettivo in comune: la disfatta politica dell’attuale regime iraniano, a cui da tempo lavorano i sauditi, alleati di ferro degli Usa.

Nonostante la love story alla luce del sole tra Bibi e i Repubblicani Usa, Obama è stato il presidente americano che ha sborsato più soldi per la difesa di Israele (nonostante la difficile situazione economica Usa). Una delle condizioni di Kadima per entrare nel governo era la ripresa di un dialogo con i palestinesi (sull’esito poi si vede, l’importante è sedersi al tavolo, questa è la strategia di Kadima, ereditata da Ariel Sharon).

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La morale della favola è sempre la stessa. I palestinesi, oltre che ancora sotto occupazione, restano orfani di una leadership degna di loro. Il fatto che non possano tornare alle urne per l’inettitudine dei loro leader lo dimostra. Israele prosegue con una strategia di Apartheid ormai rodata. Gli Usa e l’Ue continuano a bacchettare Netanyahu, senza però intervenire in maniera incisiva, minacciando gli aiuti alla Difesa o la cooperazione militare. Ai palestinesi resta il contentino, non da poco, di un generoso sostegno finanziario.

Oggi è il 15 maggio 2012, anniversario della Nakba, la “catastrofe” per i palestinesi, la costituzione dello Stato di Israele. La Comunità internazionale fallì allora, come oggi.

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