L’occupazione della Cisgiordania nel 1967 non è un fatto a se stante ma è la naturale evoluzione della guerra del 1948: la strategia israeliana avviata con la Nakba si è evoluta e realizzata vent’anni dopo, per proseguire nei decenni successivi attraverso il processo di pace, alla ricerca della definitiva soluzione della questione palestinese.
A compiere un’approfondita analisi del conflitto israelo-palestinese, esattamente a 64 anni dalla Nakba (la catastrofe, l’esilio di 750mila palestinesi dalle proprie terre a seguito della creazione dello Stato di Israele) è Ilan Pappè. Il rappresentante dei cosiddetti “nuovi storici israeliani” (seppur non ami tale definizione) ha tenuto una lezione sabato scorso all’Alternative Information Center di Beit Sahour, di fronte ad una sala gremita.
È il falso paradigma della pace, come lo chiama Pappè: “Un assetto di assunzioni e convinzioni sedimentate dalla propaganda israeliana sia a livello nazionale che internazionale e considerato oggi la realtà dei fatti. Tanto radicato che la stessa controparte palestinese ha finito per invischiarsi in tale paradigma, in una narrativa che ha fatto propria a discapito delle proprie aspirazioni nazionali”.
Secondo Pappè, il falso paradigma spiega il conflitto a partire dal giugno del 1967, dalla Guerra dei Sei Giorni e dall’occupazione da parte israeliana di Gerusalemme Est e della Cisgiordania. Tralasciando le radici di quella guerra, ovvero la Nakba del 1948, “Israele dà per scontata l’esistenza dello Stato di Israele e mette sul tavolo la soluzione ideologica alla questione palestinese: la partizione del territorio”.
“Nel 1967, il governo israeliano era un esecutivo forte. La maggioranza più ampia di sempre e ministri che provenivano dalle schiere dell’esercito che aveva combattuto nel 1948. Personaggi frustrati che vedevano nella scelta di Ben Gurion di non occupare subito l’intera Palestina un grave errore a cui mettere subito una pezza: scoppia la Guerra dei Sei Giorni. Prima di entrare in guerra, Israele sa benissimo quali territori occupare, dove porre gli insediamenti, dove applicare la legge ottomana e dove quella giordana. Ben prima che un solo colono ponesse i piedi in Cisgiordania, Israele aveva programmato tutto”.
Nell’analisi di Pappè, Israele stabilisce una strategia di lungo termine che arriva fino ai giorni nostri: un’annessione senza annessione, cittadini senza cittadinanza. Israele rende la Palestina un non-Stato, nazione senza sovranità di cui mantiene il controllo totale, militare e civile, senza annetterne ufficialmente il territorio.
La Palestina è stata trasformata in una grande prigione in cui i carcerieri non riconoscono diritti ai prigionieri, ma concedono benefici in base al livello di cooperazione individuale o di comunità e al livello di resistenza all’occupante. E come in una prigione, l’autorità prevede punizioni individuali e collettive: demolizioni di case, confische di terre, arresti di massa.
“Una simile costruzione ha permesso ad Israele di porre le basi per un processo di pace fittizio: la soluzione a due Stati non esiste, perché Tel Aviv ha annesso la Cisgiordania senza annetterla e l’ha resa uno Stato senza sovranità”.
Da qui, secondo Pappè, deve partire la nuova consapevolezza palestinese, finora tanto incapace di creare una realtà alternativa al falso paradigma da arrivare ad utilizzarne lo stesso linguaggio: “La leadership palestinese deve uscire dal paradigma, additare Israele come Stato coloniale e razzista e alzarsi da un tavolo dei negoziati gestito esclusivamente da Tel Aviv. Un tavolo a cui Israele non chiede solo di negoziare sulla sovranità di Stato, ma anche su diritti individuali inalienabili. Si possono negoziare territori. Ma i diritti non sono negoziabili. Sono e rimangono diritti”.
“Per questa ragione – conclude Ilan Pappè – non ci deve limitare a chiedere il congelamento delle colonie e l’espulsione dei coloni dalla Cisgiordania: questo non elimina il paradigma. Si finirebbe nella stessa situazione di Gaza: Sharon ha trasferimento con la forza i coloni, limitandosi a togliere dal carcere della Striscia i carcerieri che vivevano con i carcerati e trasformando Gaza in una prigione senza secondini”.