Detenuti palestinesi ancora in sciopero della fame
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Detenuti palestinesi ancora in sciopero della fame

Bilal e Thaer, dopo 73 giorni senza mangiare, stanno morendo. La Corte Suprema rigetta il loro appello, ma Abu Mazen è preoccupato che la situazione precipiti.

Detenuti palestinesi ancora in sciopero della fame
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9 Maggio 2012 - 13.57


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Bilal e Thaer stanno morendo. Sono giunti al 73° giorno di sciopero della fame contro la pratica della detenzione amministrativa. Lunedì la Corte Suprema israeliana ha rigettato il loro appello, condannandoli a morte.
Il loro avvocato, Jamil Khatib, ha annunciato che i due prigionieri palestinesi non si arrendono e proseguono nello sciopero. Bilal è stato arrestato il 17 agosto 2011, Thaer il 28 giugno 2010, entrambi in detenzione amministrativa, senza che sia stato loro garantito un processo equo. Non conoscono le accuse che li costringono in prigione.

Lunedì il giudice israeliano Elyakim Rubinstein non solo ha espresso preoccupazione per le loro condizioni di salute (suggerendo alle autorità militari di rilasciarli per malattia), ma ha anche criticato l’utilizzo smodato che l’esercito fa della pratica della detenzione amministrativa, definita dal giudice “procedura antiquata che non piace a nessun giudice”. “Ma che è comunque da considerare necessaria se il materiale raccolto contro il sospetto è segreto”, ha concluso.


L’appello della UE e l’avvertimento di Abu Mazen

Prosegue intanto lo sciopero della fame collettivo: dal 17 aprile 1.600 prigionieri palestinesi rifiutano il cibo. Nonostante le punizioni inflitte dall’Israeli Prison Service (trasferimenti da un carcere all’altro, privazione del sale per l’acqua, perquisizioni corporali continue, multe da 100 euro al giorno), nuovi detenuti aderiscono ogni giorno alla protesta.

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Ieri la missione dell’Unione Europea nei Territori Occupati ha fatto appello ad Israele perché intervenga subito e salvi la vita di Thaer e Bilal: la UE ha chiesto alle autorità israeliane di permettere ai prigionieri di ricevere visite familiari e cure adeguate in ospedali civili. Simile l’appello della Croce Rossa Internazionale. Ma il silenzio della comunità mondiale resta imbarazzante.
Oggi il presidente dell’AP, Mahmoud Abbas, ha lanciato un avvertimento: se anche solo uno dei prigionieri in sciopero perderà la vita, “sarà un disastrato, nessuno potrà tenere sotto controllo la situazione”. “L’ho detto agli israeliani e agli americani: se non trovano subito una soluzione, commetteranno un crimine”.


Le manifestazioni di solidarietà

Sono decine le manifestazioni che in questi giorni si stanno tenendo a Gaza e in Cisgiordania. Nelle città e nei villaggi palestinesi, i comitati di solidarietà e le famiglie dei detenuti hanno montato tende in sostegno della protesta. Questa mattina, un centinaio di giovani si sono ritrovati di fronte agli uffici delle Nazioni Unite a Ramallah: “Hanno chiuso le porte di ingresso – racconta a Nena News un italiano presente alla manifestazione, che preferisce mantenere l’anonimato – impedendo agli impiegati di entrare e chiedendo all’ONU di prendere misure immediate per salvare la vita degli scioperanti. Sembra che la manifestazione andrà avanti fino alle 17, poi si sposteranno in Manara Square, principale piazza di Ramallah”.

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Sit-in del 7 maggio a Gaza in solidarietà con i prigionieri palestinesi

Dimostrazione di protesta anche all’Università di Tel Aviv: circa 60 dimostranti, tra cui una decina di attivisti israeliani, ha manifestato a mezzogiorno all’ingresso dell’università per la libertà dei prigionieri politici palestinesi. Tanti gli slogan cantati: “Oh carceriere, il popolo libero non dorme”, “Libertà alle porte”, “Liberi tutti i prigionieri”. Nei cartelli in arabo e in ebraico, i manifestanti hanno scritto le loro ‘richieste’: “No alla detenzione amministrativa”, “Thaer e Bilal liberi”.


Rifiutare il cibo per i propri diritti: l’esperienza di un ex prigioniero

Bilal e Thaer non mollano. I loro corpi sono ridotti a pelle e ossa. “Di solito nei primi giorni di sciopero sei molto affamato. Dopo 10 giorni non hai più energie. In media si perde un chilo al giorno: io, nei primi 20 giorni di sciopero, persi 15 chili”, racconta a Nena News Abdel-Aleem Dana, professore al Politecnico di Hebron ed ex prigioniero. Abdel-Aleem ha trascorso 17 anni della sua vita in prigione. La prima volta fu incarcerato nel 1967, poi ancora negli anni Settanta, di nuovo durante la Prima Intifada, negli anni Novanta e nel nuovo millennio.

Ha preso parte al primo sciopero della fame organizzato dai prigionieri palestinesi, il 5 luglio 1970: “Scioperammo per 13 giorni e ottenemmo di non dover più appellare i soldati come ‘nostri padroni’ e di non portare le manette ai polsi durante l’ora d’aria. Difficile raccontare cosa si prova durante uno sciopero della fame. La cosa che mi infastidiva di più era l’odore della mia bocca e sentire lo stomaco pieno solo di acqua. Ma io bevevo poco perché i soldati non mi autorizzavano ad andare in bagno spesso”.

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“Ma più difficile è vedere accanto a te i tuoi compagni che muoiono – continua Abdel-Aleem – Noi prigionieri non iniziamo uno sciopero perché ci piace non mangiare. Ma immaginate di essere sbattuto in una prigione per anni senza sapere di cosa siete accusato. A me hanno rinnovato la detenzione amministrativa di sei mesi in sei mesi per sei volte: 3 anni senza un processo né un’accusa”.
“Quello che consola i prigionieri in sciopero – continua Dana – è sapere che fuori c’è chi li sostiene. Quella della prigionia in Israele è una questione sentita da tutto il popolo palestinese perché tocca tutte le famiglie. Basta pensare che dal 1967 sono stati ben 750mila i palestinesi detenuti: ogni famiglia ha un suo membro passato per le galere”.

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