Giornalisti palestinesi, galera per chi critica il governo
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Giornalisti palestinesi, galera per chi critica il governo

Giornalisti e blogger nel mirino dei servizi di sicurezza di Abu Mazen mentre Hamas avverte che si rischia l'arresto criticando il governo. [Michele Giorgio]

Giornalisti palestinesi, galera per chi critica il governo
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7 Aprile 2012 - 09.44


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di Michele Giorgio

Nei Territori occupati è vietato criticare le autorità palestinesi. In Cisgiordania giornalisti e blogger sono presi di mira dai servizi di sicurezza dell’Anp (cioè Fatah) mentre a Gaza chi attacca il governo di Hamas per la mancanza di carburante, rischia una pesante multa e perfino il carcere. I due «governi» fanno a gara nel complicare la vita della popolazione già alle prese con l’occupazione militare israeliana. Ne sa qualcosa Asmat Abd al Khaleq, una giornalista arrestata a fine marzo a Ramallah dalla polizia politica dell’Anp per aver attaccato su facebook il presidente Abu Mazen.

La procura rifiuta di rilasciarla su cauzione e la giornalista rischia di essere processata per «vilipendio del presidente e del governo» nonostante l’articolo 19 dello Statuto palestinese garantisca la libertà di espressione. Ma le intimidazioni a reporter e blogger in Cisgiordania non si fermano qui. Tareq Khamis è stato arrestato il primo aprile ed interrogato per tre ore per aver scritto a sostegno di Asmat Abd al Khaleq. Nello stesso giorno Jamal Abu Rahman è stato arrestato in relazione alla pagina che ha aperto su facebook “Il popolo vuole la fine della corruzione” che ha superato i 6mila membri. Shahd Bani-Odeh invece ha dovuto affrontare minacce e intimidazioni per una vignetta postata in internet.

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Il caso più grave però è quello di Yousef al Shayeb che in un articolo scritto per il giornale al Ghad rivela che la rappresentanza diplomatica dell’Anp a Parigi sarebbe stata impegnata nel reclutare gruppi di studenti per lo spionaggio di musulmani francesi, al fine di trasmettere informazioni ai servizi di sicurezza israeliani e stranieri. Al Shayeb aggiunge che il ministro degli esteri dell’Anp, Riad Malki, ha aiutato a coprire lo scandalo. Il giornalista è stato ripetutamente arrestato e interrogato per essersi rifiutato di rivelare le sue fonti e al Ghad lo ha licenziato, con ogni probabilità su pressione delle autorità. Al Shayeb rischia una condanna per “calunnia” e “diffamazione” e il ministro al Malki vuole sei milioni di dollari in risarcimento danni. Tutto ciò mentre l’Anp si prepara ad assegnare il mese prossimo il “Premio per la libertà di stampa”. Occasione che verrà boicottata dai giornalisti palestinesi in segno di protesta.

A Gaza le cose non vanno molto meglio. Il ministero dell’interno di Hamas ha comunicato che coloro che criticheranno in pubblico il governo per la gestione della crisi energetica in atto, saranno puniti con una pesante multa e addirittura con il carcere nei «casi più gravi», perché mettono a rischio «l’ordine pubblico». A Gaza il carburante è quasi introvabile. Gli abitanti sanno che la situazione è frutto anche delle scelte fatte lo scorso anno dal premier Ismail Haniyeh e non è causata soltanto dal pesante blocco israeliano della Striscia e dalle ambiguità dell’Anp e dell’Egitto. Hamas infatti, per sganciarsi da Israele e Anp, scelse di affidarsi alle forniture clandestine dal Sinai, attraverso i tunnel sotterranei, anche per garantirsi «entrate fiscali» mediante l’imposizione di una accisa su gasolio e benzina.

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Così quando ad inizio dell’anno gli egiziani hanno interrotto il traffico clandestino (anche per l’aumento del prezzo internazionale del greggio), Gaza si è ritrovata senza carburante e senza luce per lo spegnimento della centrale elettrica. Un black-out quasi totale che è andato avanti per settimane fino a quando, pochi giorni fa, il governo Haniyeh ha fatto un passo indietro firmando un accordo con l’Anp per l’acquisto di gasolio da Israele da destinare alla centrale elettrica. Della retromarcia di Hamas però non se ne può parlare, così come delle auto e delle jeep delle autorità che continuavano a circolare mentre gli altri erano appiedati e dei depositi governativi di carburante (vicino Khan Yunis) rimasti intatti nel pieno di una crisi energetica devastante che ha rischiato di bloccare anche gli ospedali.

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