Netanyahu insiste: pronti all'attacco all'Iran
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Netanyahu insiste: pronti all'attacco all'Iran

Usa, Francia e Gran Bretagna frenano e si dichiarano contro un attacco aereo israeliano alle centrali atomiche iraniane. Ma a Tel Aviv si preparano al conflitto.

Netanyahu insiste: pronti all'attacco all'Iran
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17 Marzo 2012 - 09.21


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di Michele Giorgio

La Francia è pronta a «schierarsi al fianco» di Israele «se la sua sicurezza fosse minacciata», ma «non per aiutarlo ad attaccare altri Paesi» e in particolare l’Iran. È stato perentorio il ministro degli esteri francese Alain Juppè, rispondendo alle domande di Le Monde. E altrettanto espliciti contro la guerra (almeno per ora) lo sono stati anche il presidente Usa Barack Obama e il premier britannico David Cameron, quando l’altro giorno hanno ribadito che «c’è tempo e spazio» per la diplomazia.

Eppure Benyamin Netanyahu non cambia idea. Il premier israeliano, secondo la stampa locale, non ha ancora deciso in via definitiva l’attacco contro Tehran ma è vicino a muovere quel passo. Netanyahu non sembra avere alcuna intenzione di aspettare l’esito delle presidenziali americane di novembre perché, scriveva un paio di giorni fa Ben Caspit su Maariv, non è affatto sicuro che Obama affronterà il «problema iraniano» in maniera «appropriata» dopo l’eventuale rielezione, scatenando una nuova guerra nel Golfo.

Netanyahu attaccherà. Lo ha annunciato più o meno apertamente l’altro giorno parlando alla Knesset, prima della fine dell’anno perché, sostiene il premier, l’Iran nel 2013 sarà in grado di assemblare un ordigno nucleare (Israele ne possiede almeno 200 in segreto ma tutti fingono di non saperlo). Ed è pronto a farlo senza il via libera di Washington, come nel 1981 decise il primo ministro Menachem Begin ordinando l’attacco del sito iracheno di Osirak. Dalla sua parte il premier ha 8 dei 14 ministri che compongono il «gabinetto di sicurezza». Altri sei, tra i quali Benny Begin (il figlio di Menachem), sono contrari. La preparazione dell’attacco prosegue senza sosta, a livello militare e sul «fronte interno», quello dei civili che pagheranno le conseguenze della inevitabile risposta iraniana all’attacco subito.

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I piloti israeliani si addestrano da anni a colpire a 1.600 km dalle loro basi, grazie anche a Grecia e Italia che hanno messo i loro aeroporti (di recente in Sardegna) a disposizione per queste esercitazioni speciali. Lo Stato ebraico possiede circa 300 aerei da combattimento tra i più avanzati al mondo e 100 di questi prenderanno parte al raid. Alcune decine attaccheranno i siti atomici, come gli F15i in grado di trasportare oltre due tonnellate di bombe, a cominciare dalle GBU-28, le «bunker-busting» guidate dai laser capaci di distruggere bersagli nascosti in profondità. Altri, come gli F-16i, si occuperanno della contraerea e dei radar. La resistenza iraniana sarà tenace.

Tehran non possiede un’aviazione in grado di contrastare quella israeliana ma ha un sistema di difesa antiaerea efficace, fondato su una imitazione del sistema russo S-300. Ma a giocare contro i piloti israeliani sarà anche la distanza. I 100 cacciabombardieri dovranno rifornirsi in volo da sei aerei cisterna nello spazio aereo di altri paesi. E non sarà facile. Le rotte sono tre: attraverso la Turchia, per la Giordania e l’Arabia saudita o passando per Giordania e Iraq. La più facile è la rotta turca ma Ankara, da tempo in pessimi rapporti con Tel Aviv, ha già detto un secco «no». L’Arabia saudita, nemica dell’Iran, aprirebbe volentieri il suo spazio aereo ma rischia di esporsi troppo alla reazione di Tehran. Rimane il passaggio per Giordania e Iraq, praticabile viste le ottime relazioni tra Tel Aviv e Amman e l’incapacità di Baghdad di proteggere il suo spazio aereo.

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È una missione audace, di quelle che piacciono ai leader israeliani, ma oltre a gettare la regione in una nuova guerra, riuscirà a bloccare solo per un breve periodo i progetti nucleari di Tehran. Da parte loro i civili israeliani dovranno fare i conti con l’arrivo di missili balistici (Shihab) ben più potenti e precisi dei vecchi Scud iracheni del 1991. In Israele si stanno costruendo parcheggi sotterranei trasformabili in rifugi per migliaia di persone. Come quello di piazza Habima a Tel Aviv. Qualche mese fa mentre in superficie, nella adiacente via Rothschild, gli indignados protestavano contro il carovita, sotto terra veniva completato un parcheggio di quattro livelli in grado di proteggere 1.600 persone anche da un attacco chimico, grazie ai suoi speciali filtri dell’aria. «Ma non facciamoci illusioni – avverte Moshe Tiomkin del consiglio comunale – sulla nostra città non cadranno soltanto 40 missili come nel 1991». E non mancano voci contro l’attacco all’Iran. Dopo David Grossman anche un altro scrittore, Amos Oz, è sceso in campo per accusare il premier Netanyahu di «seminare isteria».

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