Uomini che odiano Obama

Da noi la chiamano la "macchina del fango". In America la "macchina dell'odio". La differenza è nelle proporzioni.

Uomini che odiano Obama
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1 Marzo 2012 - 14.36


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di Guido Moltedo

Da noi la chiamano la “macchina del fango”. In America la “macchina dell’odio”. Ma non è la stessa cosa? La differenza è nelle proporzioni, che è enorme. Oltre Atlantico si possono muovere legioni di propagandisti, pseudogiornalisti, pseudo-ricercatori e pseudo-professoroni, catene di giornali, reti televisive, case editrici, pensatoi e fondazioni, superricchi “filantropi” pronti a donare milioni e milioni di dollari per una “giusta causa”: la distruzione sistematica dell’avversario politico ritenuto scomodo. Da eliminare. Fosse pure il presidente degli Stati Uniti.

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Chiedetelo a Barack Obama. Bersaglio di una campagna di denigrazione al cui confronto quella condotta contro Bill e Hillary Clinton fu roba da ragazzi. Si consideri solo la quantità di libri pubblicati contro l’attuale inquilino della Casa Bianca, una caterva di contumelie, per lo più gratuite e frutto di fantasia malata, che gli sono piovute addosso in misura via via crescente, dacché si trova a occupare il centro della scena politica americana: si contano sessantasette libri di odio anti-Obama.

Come ironizza Bill Press, nel suo recente The Obama Hate Machine, il presidente venuto da Chicago, quando lascerà l’incarico, avrà diritto, come tutti i suoi predecessori, a consegnare le sue carte a una biblioteca che gli sarà dedicata.

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Ma «sarà il primo ex presidente a dover richiedere due biblioteche». «Una – spiega Press – per alloggiare i suoi documenti personali e quelli storici del primo presidente africano-americano d’America; la seconda per ospitare la montagna di libri dell’odio anti-Obama che sono stati pubblicati nel periodo del suo mandato». Tra chi si lamenta di un’economia in crisi per colpa di Obama, non ci sarà certo una casa editrice come Regnery Publishing o come Encounter Books, che fanno soldi alimentando e seminando veleno contro il presidente democratico. Che il numero uno d’America finisca nel mirino delle critiche di avversari e polemisti è una costante della democrazia di quel paese, fin dalle sue origini. Attacchi lanciati anche con durezza, e non sempre nell’alveo del confronto aperto tipico di una dialettica politica libera; spesso, anzi, condotti con rozzezza, pregiudizio e intento manipolatorio.

George Washington apre la galleria della gogna, con il pettegolezzo fatto girare ad arte su un suo affaire con una giovane donna delle pulizie. Contro di lui si muove come una macchina da guerra il repubblicano The Philadelphia Aurora, dietro cui manovra il primo segretario di stato americano, Thomas Jefferson, ostile alla politica di neutralità tra Francia e Gran Bretagna dichiarata dal presidente Washington. Ma con il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti non è solo incredibilmente aumentata la quantità di attacchi alle sue politiche. Il che è legittimo, anche se, in una società così intensamente mediatizzata, fa impressione il volume stesso di critiche – quotidiano e senza fine – diretto al capo della Casa Bianca. Uno stato d’assedio permanente, come se la campagna elettorale non finisse mai, neppure nel momento in cui si governa. E nel mare di critiche politiche quotidiane confluisce un fiume in piena di mezze verità, verosimiglianze, quando non sono bugie in piena regola.

Nel caso di Barack Obama, l’ostilità raggiunge livelli mai registrati prima, con connotati espliciti e impliciti di razzismo.

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Una parte dell’America non ha accettato la novità di un nero, e di una famiglia nera, alla Casa Bianca. Mette in dubbio la legittimità stessa della sua elezione. Il 25 per cento di tutti gli americani e il 41 per cento di tutti i repubblicani crede che Barack Obama non sia nato negli Usa (e quindi lo considera privo del requisito indispensabile per esercitare la carica di presidente). E un americano su cinque crede che sia musulmano, mentre un clamoroso 55 per cento è convinto che sia socialista. Una campagna pervasiva e costante illumina e alimenta questo lato oscuro dell’America d’oggi.

All’offensiva condotta quotidianamente sui media conservatori dalle star del commentariat di destra – Sean Hannity, Bill O’Reilly, Michael Savage, Laura Ingrahm, Charles Krauthammer, Michael Barone, Glenn Beck – si associa la valanga di libri scritti da alcune di queste stesse star, ma anche da personaggi che hanno avuto incarichi governativi elevati (che dovrebbero dunque avere un minimo senso dello stato) e da autori spesso sconosciuti, che però – per la legittimazione e la diffusione dei loro testi – possono godere del megafono di radio e tv con grandi ascolti, pronti a promuovere pubblicazioni trash, purché anti-obamiane.

Un libro, a differenza di una trasmissione tv o di un articolo, si ammanta di una presunta autorevolezza che gli deriva dal lavoro di scavo e di ricerca necessario alla sua redazione e pubblicazione. Quel che colpisce nella letteratura antiobamiana è l’insalata di stereotipi – nel migliore dei casi – e di spudorate insensatezze che caratterizza la stragrande maggioranza dei volumi pubblicati.

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Va forte il genere che potremmo definire “giù la maschera”. Libri che vogliono demistificare il personaggio e raccontare la verità sul suo conto. Floyd Brown, nel suo Obama Unmasked: Did Slick Hollywood Handlers Create the Perfect Candidate?, intende appunto “smascherare” il presidente democratico sostenendo che è solo una «creature of spin doctors and focus groups».

In Deconstructing Obama, Jack Cashill “smonta” il primo “presidente post-moderno” degli Stati Uniti, tirando fuori il repertorio classico dell’immondizia anti-obamiana, come la sua frequentazione con l’ex terrorista Bill Ayers, che è indicato come il vero autore del bestseller di Obama, I sogni di mio padre, mentre dietro L’audacia della speranza c’è la mano del “comunista” Frank Marshall Davis. Ma la chicca del libro di Cashill è la rivelazione secondo cui «Obama is bisexual». Lawrence Sinclair racconta invece una sua relazione omosessuale con Obama, con annessa cocaina ovviamente, in un libro di cui nessuna persona normale si occuperebbe e che ebbe l’onore di essere presentato al National Press Club durante la campagna elettorale del 2008.

D’altra parte giornali come il Wall Street Journal, riviste come American Spectator e National Review, tv come Fox non danno spazio a tutta la litania dell’Obama islamico e radical, che vuole svendere la sicurezza nazionale americana per creare uno stato socialista, anzi comunista? Non recensiscono, come fossero libri degni di nota, Obama’s Change: Communism in America di John Graham o Islam and Barack Hussein Obama: A Handbook on Islam di Stephen Kirby? C’è anche un côté di sinistra, sebbene marginale. Anche qui si scivola nel prevedibile. Ma non nel fango. L’accusa, nei sei libri di autori progressisti e radical individuati dal giornale on line The National Memo, che ha redatto la lista degli “Anti-Obama Books”, è naturalmente quella del tradimento.

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Il presidente Obama non ha mantenuto le promesse del candidato Obama. Tariq Ali parla di resa nella politica interna e di guerra all’estero; Timothy Carney accusa l’Obamanomics di subalternità a Wall Street, Roger Hodge denuncia la continuità con il passato, John Jocelyn e Dirk Brewer ce l’hanno con Obama per non avere difeso i diritti dei gay; Paul Street smonta in due libri il preteso liberalism del presidente, a cui lui non ha creduto ma la sinistra che l’ha votato sì, e ben gli sta. E dire che l’assillo di Barack Obama, da candidato e da presidente, è sempre stato quello di pacificare la nazione, una nazione lacerata da una lunga guerra civile culturale, lanciata dalla presidenza Reagan ed esacerbata dalla presidenza Bush. È qui, dal suo punto di vista, non certo per sua mancanza di volontà, l’insuccesso di questa presidenza, che avrebbe voluto aprire un’era post-ideologica e post-razziale.

E adesso si va verso una campagna elettorale cattiva. Obama questa volta non può fare il buono e il bipartisan a oltranza. In contrasto con il suo temperamento, in contrasto con la sua tendenza alla mediazione, per ottenere un secondo mandato, sarà costretto a tirar fuori gli artigli contro una macchina dell’odio che non vuole semplicemente far tornare a vincere i repubblicani, ma è decisa a cancellare per sempre un’idea diversa dell’America – più equa in casa e più rispettata nel mondo perché più rispettosa degli altri – e un leader capace d’incarnarla.

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