È ancora misteriosa la vicenda di due giornalisti occidentali rimasti feriti mercoledì scorso nella città siriana di Homs, sottoposta anche ieri a pesanti bombardamenti governativi. E’ confermato che il fotografo britannico Paul Conroy, ferito alle gambe, è arrivato a Beirut, in Libano, dopo che forze dell’opposizione lo avrebbero fatto passare illegalmente in Libano. Ma è incerta la sorte della reporter francese Edith Bouvier, con ferite più gravi.
Una dichiarazione del presidente francese Sarkozy che annunciava la sua uscita dalla Siria ha dovuto essere smentita, per cui ieri sera sembrava che la giornalista di Le Figaro fosse ancora bloccata a Homs. Sarkozy si era rallegrato per l’arrivo in Libano della giornalista al termine di «trattative non facili», però poi si è auto-smentito ammettendo che non vi era ancora conferma del successo dell’operazione.
Edith Bouvier, 31 anni, e Paul Conroy, 47, padre di tre figli, sono rimasti feriti in un bombardamento in cui mercoledì scorso sono stati uccisi l’inviata americana del Sunday Times Marie Colvin e il fotografo francese Remi Ochlik. Secondo i Comitati locali di coordinamento dell’opposizione, ieri non meno di 60 persone sono state uccise nella repressione di tutta la Siria, di cui 24 nella sola Homs e 27 nei sobborghi di Hama. Cifre peraltro come sempre inverificabili da fonti indipendenti. A Homs, precisa la fonte dell’opposizione, «forti esplosioni» si sono udite nel quartiere di Karm al Zeitoun e proiettili di mortaio sono piovuti su quello di al Zahra. A Tafes, nella provincia di Daraa, i Comitati hanno segnalato un attacco di disertori dell’«Esercito libero siriano» (Els) contro un convoglio di truppe governative che avrebbe provocato «varie perdite».
La situazione umanitaria in Siria è «spaventosa», ha affermato da parte sua a Ginevra l’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, chiedendo «un immediato cessate il fuoco umanitario». L’ambasciatore siriano al Consiglio Onu sui diritti umani che si svolgeva nella città svizzera, Faysal Khabbaz Hamoui, è uscito dalla sala affermando che «il vero obiettivo di questa sessione è quello di alimentare il terrorismo e di prolungare la crisi». Lynn Pascoe, segretario generale aggiunto dell’Onu per gli affari politici, ha detto da New York che il numero dei morti negli 11 mesi di repressione è «ben oltre i 7.500», anche se ha ammesso che un bilancio preciso non è possibile.
Al Palazzo di vetro newyorkese sta circolando una nuova risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di sicurezza. L’obiettivo, secondo il ministro degli esteri francese Alain Juppé, è un cessate il fuoco «umanitario» con «accesso all’aiuto umanitario nelle aree più minacciate». Juppé ha auspicato che questa volta Russia e Cina, che hanno già posto il veto a una precedente risoluzioni del Consiglio di sicurezza che condannava il regime di Damasco e lasciava aperta la strada a un «intervento umanitario» dall’esterno, non si oppongano. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha detto che vi sono «argomenti» per ipotizzare un’incriminazione del presidente Assad per crimini di guerra davanti alla Corte penale internazionale, ma ha aggiunto che ciò «può complicare la soluzione di una situazione complessa».