Governo palestinese, accordo impossibile
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Governo palestinese, accordo impossibile

La guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran travolge i palestinesi. Vanificata la pace tra Hamas e Fatah per formare un nuovo governo. [Francesca Marretta]<br>

Governo palestinese, accordo impossibile
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14 Febbraio 2012 - 10.44


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di Francesca Marretta

L’accordo sul nuovo governo di transizione palestinese siglato la settimana scorsa a Doha dal capo dell’Ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal e dal presidente palestinese Abbas, è già carta straccia. La presenza a Teheran del Premier di Gaza, Ismail Hanyieh, è di per sé emblematica della frattura creatasi in seno al movimento islamico palestinese. La distanza tra la leadership di Gaza e quella in esilio è stata poi resa esplicita dalle parole del falco della Striscia, Mahmoud Zahar, che in soldoni ha detto di non essere stato messo al corrente di quello che accadeva in Qatar.

Durante la visita in Iran dello scorso fine settimana, Hanyieh ha di fatto sconfessato la pace fatta tra Hamas e Fatah per formare un nuovo governo di transizione, necessario a organizzare elezioni politiche e presidenziali. Con accanto la guida spirituale della Rivoluzione, Ayatollah Khamenei, Hanyieh ha detto il contrario di quello per cui sta lavorando Meshaal, che già a dicembre scorso aveva parlato di lotta non violenta palestinese e di accettazione delle linee di confine con Israele del 1967, pur non negando il diritto dei palestinesi alla lotta armata. “Le armi sono la nostra sola risposta” a Israele, che Hamas non riconoscerà “mai”, sono state le parole pronunciate a Teheran dal Premier di Gaza. Khamenei gli ha fatto eco aggiungendo che il “compromesso”, ovvero l’accordo con l’Anp di Abbas, amico degli occidentali e dello schieramento sunnita che fa capo ai sauditi, indebolirebbe la resistenza.

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Tirando le somme, Meshaal si è messo dalla parte delle monarchie del Golfo, riportando Hamas nell’alveo della Fratellanza Musulmana (sunniti), che si afferma politicamente e democraticamente nella Regione, o cerca di farlo con le armi, come avviene in Siria. La leadership di Gaza, leggi Zahar, rispettato dalle fazioni armate, si allinea al fronte che, facendo capo agli sciiti iraniani, resta amico di Bashar al Assad e Hezbollah. E dire che le monarchie de Golfo avevano messo sull’avviso Haniyeh, invitandolo a smettere di dare ascolto al canto delle sirene persiane.

In Iran Haniyeh è stato accolto con tutti gli onori, com’era del resto avvenuto quando si è recato di recente in Qatar. Gli iraniani hanno tirato meglio per la giacca il leader di Gaza, che non poteva non appiattirsi sulle posizioni del falco Zahar, dati i fragili equilibri interni a Gaza, soprattutto sul fronte delle fazioni armate. A Gaza occorre fare i conti con i salafiti, tra cui non mancano gruppi jihadisti, cretesi anche tra le fila dalle Brigate Ezzedin al Qassam, ala armata di Hamas.

Elemento indicativo del fatto che Hanyieh abbia suo malgrado esternato a Teheran le posizioni dell’ala dura del movimento di Gaza è che, a dicembre scorso, uno dei suoi consiglieri più fidati, Ahmed Youssef, abbia detto a dicembre le stesse cose che in quello stesso periodo diceva e dice oggi Meshaal: “Hamas deve creare una resistenza popolare che attragga il mondo verso la lotta palestinese, togliendo a Israele la giustificazione per attaccare”. Nella sfida tra oltranzisti e colombe del movimento islamico Youssef, per quanto colto e apprezzato, conta però quanto il due di briscola. Meshaal è animale politico di tutt’altra levatura.

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Annunciando un nuovo corso basato sulla resistenza delle masse popolari che avrebbero avuto “la forza di uno tsunami” per contrastare “l’aggressione israeliana”, Meshaal gettava due mesi fa la base per l’accordo di Doha, benedetto non solo dall’Emiro del Qatar, ma dai Fratelli Musulmani egiziani e tunisini, questi ultimi già forza di governo.

Le divisioni interne a Hamas sono dovute al fatto che la firma dell’accordo di Doha, che vede il Presidente Abbas a capo di un governo di transizione, non conviene ai vertici di Gaza. A differenza che nella West Bank, Hamas, che governa a Gaza con piglio di ferro, non sarebbe probabilmente premiato dalle urne. Se l’Emiro del Qatar ha fatto del suo meglio per oliare gli ingranaggi, credendo di levare un po’ di ruggine tra Hamas e Fatah aprendo il portafogli, Teheran ha foraggiato Hamas con circa 300 milioni di dollari l’anno. Dallo scorso agosto ha però stretto i rubinetti, facendoli funzionare a intermittenza, dato l’atteggiamento freddo tenuto dal movimento palestinese nei confronti del siriano Bashar al Assad, sotto la cui ala protettrice è rimasto al lungo Meshaal a Damasco. La primavera araba continua a far venire nodi al pettine tra sunniti e sciiti nella regione. Per i sunniti è arrivato il momento di schierarsi con o contro la leadership in Siria, paese in cui sono una maggioranza retta e da una minoranza sciita, che oggi la reprima coi carri armati. L’esercito dei fuoriusciti che combatte Assad rientra nell’alveo dello schieramento che si oppone a Teheran.

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Zahar ha definito l’accordo di Doha e l’incarico di nuovo capo di Governo ad Abbas “sbagliato” e “strategicamente inaccettabile”. Resta da capire cosa sia invece accettabile per la popolazione palestinese, che non fa altro, a Gaza, di lamentarsi del governo islamista. I palestinesi sono un popolo che la dea bendata evita come la peste. Anche il vento della primavera araba, arrivato a spirare sia pure brevemente addirittura in Arabia Saudita, gli è passato sopra la testa senza accorgersi di loro. Ma dato che la sfortuna vede invece benissimo, i primi a fare le spese delle spaccature createsi in Hamas, manovrate dai due grandi burattinai che si fanno la guerra per procura, Arabia Saudita e Iran, saranno gli abitanti di Gaza. E pure quelli della West Bank che non andranno a votare.

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