La nuova Libia è quasi peggio di quella vecchia
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La nuova Libia è quasi peggio di quella vecchia

I media tacciono ma Medici senza Frontiere, Amnesty e Onu denunciano abusi di ogni tipo. Sotto accusa la prigione di Misurata. Sospetti gheddafiani torturati e uccisi.

La nuova Libia è quasi peggio di quella vecchia
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27 Gennaio 2012 - 09.00


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di Tommaso Di Francesco

A riflettori spenti, è fragoroso il silenzio dei media sulla «nuova» Libia, a meno che non si tratti di petrolio e affari o di «contenimento» dell’immigrazione. Eppure quello libico appare sempre più come un laboratorio di orrori da fare invidia ad Abu Ghraib. Non che prima, nell’era gheddafiana, le violenze mancassero. Il regime torturava e deteneva per conto dell’Occidente gli integralisti islamici. Ora va in onda la violenza degli integralisti islamici e delle milizie del Cnt, in carica grazie ai bombardamenti atlantici. E ha un sapore particolare il fatto che i nuovi crimini avvengano a Misurata, la «città martire» della rivolta.

Ieri Médecins sans Frontières (Msf), Nobel per la pace nel 1999, ha annunciato di «aver sospeso le sue attività nei centri di detenzione di Misurata perchè ai detenuti vengono inflitte torture e negato l’accesso a cure mediche d’urgenza». Le équipe mediche che lavorano nelle carceri di Misurata da agosto, «si sono confrontate da allora con un numero crescente di pazienti con ferite causate da torture subite durante gli interrogatori, svolti al di fuori dei centri di detenzione».

In totale, precisa Msf, sono state curate 115 persone con ferite da tortura (tutti i casi riferiti alle autorità di Misurata). Ma non basta. «Ci hanno consegnato pazienti provenienti da interrogatori affinchè li stabilizzassimo solo per poterli nuovamente interrogare. Ciò è inaccettabile. Il nostro compito è quello di fornire cure mediche per feriti in guerra e detenuti malati, non di curare ripetutamente gli stessi pazienti per poter essere nuovamente torturati», dice il direttore generale di Msf, Christopher Stokes.

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Il caso «più preoccupante» è avvenuto il 3 gennaio scorso, quando i medici di Msf hanno curato 14 detenuti di ritorno da un centro per gli interrogatori, 9 dei quali, «nonostante le reiterate richieste di porre fine alle torture», presentavano evidenti segni di torture. E nonostante i medici avessero subito fatto presente che necessitavano del ricovero ospedaliero, tutti tranne uno sono stati nuovamente privati di assistenza medica e torturati fuori dai centri di detenzione.

Il 9 gennaio Msf ha inviato una lettera ufficiale a tutte le autorità civili e militari di Misurata chiedendo ancora una volta di porre fine a ogni forma di violenza contro i detenuti. Ma «nessuna azione concreta è stata intrapresa – ha affermato Stokes -. Al contrario, la nostra èquipe ha ricevuto 4 nuovi casi di tortura. Abbiamo perciò preso la decisione di sospendere le attività mediche nei centri di detenzione». Attiva in Libia dall’inizio della guerra civile nel febbraio 2011 e presente a Misurata da aprile, nel pieno del conflitto, Msf assicura che proseguirà le proprie attività di assistenza nelle scuole e negli ospedali di Misurata, così come l’assistenza a 3.000 migranti africani, rifugiati e sfollati dentro e fuori Tripoli.

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A rincarare la dose, si è aggiunta ieri anche la denuncia di Amnesty International, secondo cui diversi detenuti in Libia, sospetti gheddafiani, «sono morti dopo essere stati sottoposti a tortura nelle ultime settimane». I responsabili di Ai hanno incontrato i prigionieri nelle prigioni di Tripoli, Misurata, Gharian, e hanno riscontrato «visibili segni di torture e maltrattamenti» e raccolto testimonianze di civili sottoposti a violenza fisica e anche ad elettroshock.

Amnesty, che ora accusa «entità militari e di sicurezza e milizie armate», già in ottobre aveva presentato un dettagliato rapporto intitolato «Sulla nuova Libia la macchia degli abusi sui detenuti», con un quadro allarmante di casi di maltrattamenti contro soldati dell’esercito di Gheddafi, presunti lealisti o sospetti mercenari, con descrizioni di torture, migliaia di arresti senza mandato, abusi su donne, centinaia di minorenni incarcerati, strumenti di tortura rinvenuti come i tubi di gomma per la falaqa (le percosse sulla pianta dei piedi); in un centro di detenzione i delegati di Ai hanno udito «urla e il sibilo delle frustate da una cella».

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Finora il numero dei detenuti libici dopo la guerra civile è imprecisato ma, da stime di ong umanitarie, dovrebbero essere almeno 15-20mila. L’ambasciatore libico all’Onu, Shalgham, ha rivelato che nella sola Tripoli ci sono 8.000 persone in carcere e tra loro civili, donne e bambini. Mercoledì Navi Pillay, la responsabile Onu per i diritti umani, ha denunciato davanti al Consiglio di sicurezza «la mancanza di controlli da parte delle autorità centrali che creano un clima favorevole alle torture e ai maltrattamenti», e ha accusato il Cnt anche della mancata sorveglianza sul ruolo della miriade di milizie armate che ormai si fronteggiano in battaglie aperte, come nel centro di Tripoli in questi giorni, a Bengasi o a Bani Walid che sarebbe addirittura stata riconquistata dai “gheddafiani”. Ma ora la Nato, intervenuta a suo tempo per «proteggere i civili», assicura il segretario Rasmussen che non ha più alcuna intenzione di tornare in Libia.

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