Tunisia: primo anniversario della rivoluzione

La Tunisia torna in piazza a un anno dalla rivoluzione, tra speranze e delusioni dopo la vittoria islamista alle elezioni di ottobre. [Giuliana Sgrena]

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Giuliana Sgrena Modifica articolo

15 Gennaio 2012 - 10.38


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Migliaia di tunisini sono tornati ieri in Avenue Bourghiba, luogo delle manifestazioni che un anno fa avevano costretto il dittatore Ben Ali a fuggire dal paese, non tanto e non solo per festeggiare, ma per ribadire i valori della loro rivoluzione: dignità e libertà. Il 14 gennaio 2011 iniziava un processo rivoluzionario che ha dovuto affrontare molti ostacoli e tentativi controrivoluzionari.
Tra i cambiamenti positivi e negativi, la cosa più importante è stata che i tunisini hanno vinto la paura e sono stati un esempio per gli altri popoli arabi. Il processo avviato dai tunisini – scioglimento del parlamento, sospensione della costituzione, messa fuori legge del partito di Ben Ali (Rcd), scioglimento della polizia politica – è stato radicale. Il 23 ottobre le elezioni per la costituente hanno dato per la prima volta ai tunisini la possibilità di votare liberamente e, nonostante gli errori e le ingenuità commesse in questa prima scadenza elettorale, il voto è stato il modo per affermarsi come cittadini dopo essere stati per tanti anni sudditi. Tanto che persino il leader del partito islamista En-nahda che ha vinto le elezioni, Rachid Ghannouchi, pur negando la secolarizzazione della Tunisia parla di diritti dei cittadini.
Anche se, nei fatti, non sempre li riconosce e li accetta. L’aspetto più inquietante del processo tunisino – ma vale anche per l’Egitto – è la vittoria elettorale degli islamisti: la rivoluzione è guidata dai laici ma le elezioni sono vinte dagli islamisti. Per diversi motivi, schematizzando: il richiamo all’identità musulmana cercando di far passare la laicità come la base della corruzione del vecchio regime, il forte supporto economico e mediatico ottenuto dal Qatar, la vendetta dei maschi contro la libertà di cui godevano le tunisine e che avrebbe «castrato» il sesso maschile. Forse è esagerato parlare al passato rispetto ai diritti delle donne tunisine, ma questi sono fortemente minacciati, prima ancora che nella costituente, nelle piazze e nelle università.
Gli islamisti, soprattutto i salafiti, sono all’attacco, la vittoria di En-nahda li ha legittimati e del resto il partito di Ghannouchi non condanna mai le loro azioni, nemmeno quando hanno sequestrato il rettore dell’università di Manouba. Il governo costituitosi dopo il voto, con un’alleanza contronatura formata dagli islamisti (che detiene i ministeri forti) e due partiti laici (Marzouki, laico, ha ottenuto la presidenza), per ora balbetta. I problemi sul tappeto sono molti, innanzitutto quello economico. La rivoluzione ha bloccato il turismo e gli investimenti stranieri che, nonostante le rassicurazioni liberiste degli islamisti, non sono ripresi: per quest’anno la crescita della Tunisia è prevista intorno allo zero.
Il principale sostenitore della Tunisia è il Qatar e lo sceicco Hamad Ben Khalifa è stato il primo a sbarcare a Tunisi per le celebrazioni dell’anniversario, seguito dal presidente del Cnt libico Mustapha Abdel Jalil e il presidente algerino Bouteflika. Il primo invito all’estero il premier Hamdi Jebali l’ha ricevuto dall’Arabia saudita che ha dato ospitalità a Ben Ali e alla moglie in fuga. La Tunisia ne chiede l’estradizione, Jebali riuscirà a ottenerla? C’è almeno da sperare che la Tunisia non diventi un ostaggio dei paesi del Golfo.

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