Sinai, i campi della vergogna
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Sinai, i campi della vergogna

Centinaia di migranti tenuti ostaggi in campi di tortura nel Sinai da trafficanti di esseri umani, ma al Cairo e a Tel Aviv i governi fanno finta di non vedere.

Sinai, i campi della vergogna
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1 Dicembre 2011 - 15.05


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di Michele Giorgio

Torturati, abusati, seviziati in ogni modo da trafficanti di essere umani. Il dramma di centinaia di migranti africani nel Sinai è noto da tempo, eppure i governi di Egitto e Israele restano indifferenti e non muovono un dito per proteggerli. Il resto del mondo sa ma finge di non vedere. Per questo ieri diverse organizzazioni per i diritti umani, israeliane e internazionali (tra le quali l’italiana Habeshia), hanno denunciato insieme l’indifferenza generale verso la sorte di almeno 350 uomini, donne e bambini, in buona parte eritrei, tenuti ostaggio da criminali che avevano promesso di portarli clandestinamente in Israele attraverso il Sinai e ora chiedono somme esorbitanti per lasciarli liberi. In tanti scappano dalla guerra e non solo dalla fame. E non mancano casi di persone sequestrate nella loro terra a scopo di estorsione e portate nel Sinai dove rimangono prigioniere per mesi, fino al pagamento del riscatto.

«I campi di tortura e prigionia continuano a rimanere aperti, sebbene rapporti dettagliati su quanto accade nel Sinai siano stati trasmessi da lungo tempo alle istituzioni internazionali, alle Nazioni unite e ai governi di Egitto e Israele», denuncia Hotline for Migrant Workers (Hmw), organizzazione che da anni fornisce assistenza ai migranti in Israele e che mantiene i contatti con coloro che sono tenuti in ostaggio nel Sinai. «Ci sono quattro gruppi di persone nelle mani dei trafficanti – riferisce Hmw – 165 migranti sono a Mansoura, 59 a pochi chilometri da Rafah (Gaza), 17 sudanesi si trovano nei pressi di al Jorra mentre di altri 111 si sa poco o nulla».

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Le autorità egiziane non hanno mosso alcun passo per liberare gli ostaggi sebbene negli ultimi mesi, per ragioni di sicurezza, abbiano inviato nel Sinai (in accordo con Israele) rinforzi di soldati e polizia. Anzi, il Cairo ha continuato a usare il pugno di ferro proprio con i migranti, ordinando ai suoi militari di non esitare ad aprire il fuoco contro chi cerca clandestinamente di entrare in Israele. Le organizzazioni israeliane denunciano l’indifferenza di Tel Aviv che pure ha firmato convenzioni e trattati internazionali a difesa di migranti e rifugiati politici. «Si tratta di un punto fondamentale – spiega Shahar Shoham di Medici per i diritti umani -, Israele è tenuto a proteggere queste persone e ad aiutarle materialmente, ma resta a guardare». Indifferenza che arriverebbe al punto da non avviare alcuna indagine nei confronti dei complici di trafficanti nel Sinai, che vivono e operano nel territorio israeliano. «La nostra ed altre organizzazione – riferisce Shahar Shoham – hanno fornito alle autorità competenti informazioni dettagliate su diversi israeliani complici dei trafficanti nel Sinai. Abbiamo anche messo a disposizione le testimonianze raccolte in questi mesi. Sino ad oggi però non si è mosso nulla, non è stata avviata alcuna indagine vera».

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Atteggiamento che sorprende fino ad un certo punto. Il governo Netanyahu, in particolare il ministro dell’interno Eli Yishai, ha fatto della battaglia a migranti e lavoratori «clandestini» un punto centrale del suo programma. E anche per questa ragione ha ordinato la costruzione di una barriera lungo il confine con l’Egitto. I lavori sono stati accelerati negli ultimi tempi – 800 metri al giorno – e il mese prossimo saranno pronti 100 km di reticolati e decine di torrette di osservazione. Alla fine del 2012, la barriera coprirà i circa 240 km di lunghezza della frontiera tra i due paesi. La costruzione, alta 5 metri, si aggiunge al Muro che Israele ha alzato per centinaia di km nella Cisgiordania sotto occupazione e intorno a Gerusalemme Est. Secondo le statistiche israeliane, lo scorso anno 13.500 persone hanno provato a varcare la frontiera illegalmente.

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