Il 4 novembre del 1995, nella grande Kikar Malkhei Israel, la piazza centrale di Tel Aviv, poco prima che il primo ministro israeliano salisse sul palco, migliaia di israeliani cantarono la canzone della pace: ” Che il sole sorga, che il mattino splenda. Così cantate una canzone di pace. Non sussurrate una prehiera. Meglio cantare una canzone della pace. Con un grande urlo”.
Quella pomeriggio era un pomeriggio bellissimo. Le spiagge di Tel Aviv erano piene di gente che prendeva il sole, faceva il bagno. Il tempo trascorreva lento e intenso quel sabato quattro novembre 1995. “Meglio arrivare per tempo”, ripetevano i ben informati. “Si dice che i coloni possano tentare di bloccare le strade di accesso a Tel Aviv”. E così arrivammo per tempo anche io e Alberto Stabile, il carissimo collega di Repubblica col quale raggiunsi Tel Aviv da Gerusalemme, sul far della sera.
, ricordo Basti dire che nessuna televisione straniera aveva prenotato la diretta dalla piazza.”Il processo di pace è irreversibile” dicevano i più, che importanza ha che Rabin riempia una piazza. Eppure i giornali erano pieni di notizie allarmanti, che però non allarmavano molti. Picchetti davanti alla casa del primo ministro, militanti della destra che lo insolentivano, lo insultavano, lo minacciavano. Un rabbino a New York aveva invocato la morte di Rabin, con un rito cabbalistico. Una sorta di “fattura” con scadenza ai primi di novembre. Ma nessuno sapeva che i servizi segreti erano stati allertati, perché quella sera qualcuno avrebbe tentato di uccidere il primo ministro (sulle prime si parlò di un’informazione carpita per caso, in un bagno pubblico.) Ma questo, ripeto, non lo sapeva nessuno. E così quella sera rimaneva una sera ordinaria.
Eppure una novità c’era, enorme, visibile a tutti. Per volontà dello stesso primo ministro d’Israele, quella sera sul palco c’erano anche gli ambasciatori di Giordania ed Egitto. Un’indicazione chiara, politicamente fortissima: la pace deve fare il salto di qualità, costruire un fronte unico, trasversale ai due campi. Perché?
Perché Rabin lo sapeva benissimo che il processo di pace non era “irreversibile” neanche per niente. Non per nulla il processo di pace aveva vinto di un soffio pochi giorni prima e il trattato di pace detto di Oslo 2 era stato ratificato dl parlamento israeliano con 61 voti su 120 e il sessantunesimo aveva deciso all’ultimo momento, stando al suo racconto dopo una conversazione telefonica con sua moglie, chiamata dal cellulare mentre la conta stava per scattare. Per questo Rabin decise di convocare quella manifestazione, per chiedere alla maggioranza silenziosa di non restare tale, di farsi sentire, e per far fare al fronte della pace un salto in avanti, verso il fronte unitario, un fronte unito di arabi e israeliani per la pace tra arabi e israeliani.
Quando la piazza si riempì il primo ministro d’Israele prese la parola, e parlò con quella voce così roca, così anti-retorica. “Io sono stato un soldato per 27 anni. Ho combattuto per tutto il tempo in cui non c’è stata una prospettiva di pace. Ma ora io credo che ci sia un’opportunità per la pace, un’opportunità che noi dobbiamo prendere. Io ho sempre creduto che la maggioranza di questo paese voglia la pace e che sia pronta a prendersi i rischi che la pace comporta. E voi siete la riprova che la maggioranza di questo paese vuole la pace e ripudia la violenza. La violenza sta minando le basi della democrazia israeliana. Essa deva essere respinta, e contenuta. Non è quella la via di Israele. La nostra strada è la via della democrazia… Noi abbiamo un partner tra i palestinesi. E’ l’Olp, che è stato nostro nemico per tanti anni e ora ha ripudiato il terrorismo… Questa manifestazione deve mandare deve mandare al mondo arabo, al pubblico israeliano, alla comunità ebraica mondiale e a tutto il il mondo il messaggio che Israele vuole la pace, sostiene la pace. E per questo io vi ringrazio.”
Era proprio felice quella sera Yitzakh Rabin. Lui, burbero e scontroso, cantò per la prima volta in pubblico, cantò la canzone della pace. E poi venne ucciso.
Nei giorni seguenti quel terribile assassinio, perpetrato dal giovanissimo Yigal Amir, il ministro della sanità del gabinetto Rabin, Ephraim Tsneh, disse: ” Questo assassinio è il risultato della campagna d’odio alimentata, ispirata dal Likud, dalla destra. La responsabilità è dei leader… Da Netanyahu in giù”.
Purtroppo nelle ore successive all’assassinio molti esponenti della diplomazia mondiale, a cominciare dagli americani, ripeterono quello che si era detto prima della manifestazione del 4 novembre: che il processo di pace era irreversibile, che l’assassino di Rabin non avrebbe cambiato il corso della storia. Chissà se avrebbero l’ardire di ripeterlo anche oggi.