Siria: presto una nuova Costituzione ma si rischia una guerra civile

Gli scontri tra regime e oppositori, specie nelle città roccaforti del sunnismo, non accennano a placarsi. Sale il numero delle vittime. I civili si armano.

Siria: presto una nuova Costituzione  ma si rischia una guerra civile
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19 Ottobre 2011 - 09.17


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di Mariam Giannantina

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Lunedì scorso è stato un giorno particolarmente sanguinoso in Siria. Il totale dei manifestanti uccisi dalle forze di polizia ha raggiunto 36 secondo il Coordinamento dei comitati locali delle proteste, di cui almeno 24 ad Homs, la citta’ nel centro della Siria teatro da mesi di grandi proteste e di scontri violenti tra oppositori – specialmente soldati passati con i manifestanti – e forze di sicurezza. Notizie drammatiche che giungono il giorno dopo che i ministri degli esteri della Lega Araba, riuniti per un vertice d’emergenza, hanno deciso di non sospendere la Siria dall’organizzazione in risposta alla repressione delle proteste contro il regime, che da oltre sette mesi hanno sconvolto il paese, come proposto dai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Ma hanno invitato il regime a fermare la violenza e ad incontrarsi con l’opposizione al Cairo entro 15 giorni. L’ambasciatore siriano presso la Lega Araba ha subito dato voce alla contrarietà del proprio governo sottolineando che “la Siria è un paese sovrano” e che “il dialogo nazionale può tenersi solo sul territorio siriano”.

Che sia Homs il centro più caldo della rivolta in Siria non sorpende poiché rappresenta un microcosmo della societa’ siriana. La maggior parte dei manifestanti, sunnita come il 75% della popolazione, si è scontrata contro milizie para-militari (shabbiha) pro-Assad e forze di sicurezza composte pravalmente da alawiti, la setta sciita a cui appartiene la famiglia Assad, provenienti dai villaggi circostanti. Nei dintorni di Homs due giorni fa sono stati uccisi 11 soldati dell’esercito siriano, 4 in un attentato dinamitardo ad opera presumibilmente di disertori. A Rastan, cittadina vicino Homs, alcune settimane fa si sono scontrati pesantemente esercito e disertori dalla parte dei manifestanti. L’azione di gruppi di disertori come l’Esercito libero siriano e gli Ufficiali liberi siriani diventa sempre più visibile, soprattutto nelle zone di Idlib, Homs, Zabadani, in alcuni sobborghi di Damasco, anche se è difficile valutarne i numeri e la forza militare.

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L’ultimo venerdì di protesta è stato dedicato dagli attivisti “ai liberi (ossia i disertori) dell’esercito”, piccola breccia nel granitico supporto dell’esercito alla repressione violenta, anche se dopo l’avventura libica i paesi NATO non appaiono inclini a sostenere un intervento militare in Siria a sostegno di eventuali “ribelli”. “Ho incontrato alcuni disertori a Duma (nei dintorni di Damasco)” racconta un oppositore siriano che chiede l’anonimato “insieme a loro c’erano civili armati di kalashnikov, spesso parenti di vittime uccise dalle forze di sicurezze.” Il contrabbando di armi dal Libano alla Siria e’ aumentato esponenzialmente dall’inizio delle proteste. “Si tratta soprattutto di individui che comprano armi per difesa, sia alawiti che temono rappresaglie dei manifestanti sunniti”, afferma Peter Harling dell’International Crisis Group. Tutto sembra confermare l’allarme lanciato due settimane fa dalla Commissaria ONU per i diritti umani Navi Pillay secondo cui “la Siria sta precipitando verso una guerra civile a tutto campo” dopo oltre 3,000 vittime accertate dall’inizio delle proteste.

Il Coordinamento dei comitati locali denuncia intimidazioni ed arresti di medici e farmacisti che prestano cure ai manifestanti, mentre la longa manus del regime arriva anche in Libano, rifugio di molti dissidenti siriani, picchiati da sostenitori di Assad come accaduto lo scorso venerdi’ davanti all’ambasciata siriana di Beirut. Il regime siriano ha attribuito i disordini nel paese ad una cospirazione internazionale ed a gruppi di islamisti armati su cui, secondo dichiarazioni di ufficiali governativi, sta avendo il sopravvento. Il 12 ottobre nella Piazza dei setti mari di Damasco si sono radunati centinaia di migliaia di manifestanti pro-Assad accorsi per ringraziare Russia e Cina che si sono opposti nel Consiglio di Sicureza dell’ONU ad una risoluzione di condanna della Siria.
Mentre prosegue l’azione militare per reprimere le proteste, il presidente Bashar Al Assad ha nominato due giorni fa un comitato incaricato di redigere una nuova costituzione, lasciando presagire (ma senza certezze) la revisione dell’art. 8 che garantisce il monopolio del potere al partito Baath, una delle richieste dei manifestanti. L’allentamento del potere del Baath sembra un esito inevitabile della rivolta ma dopo l’alto prezzo di sangue una parte dell’opposizione non si accontenta che della caduta del regime. Nel frattempo continua il declino dell’economia, destinato ad aggravarsi dopo che il 15 Novembre entreranno in vigore le sanzioni dell’UE contro il petrolio siriano, fonte di un terzo delle entrate del governo. A causa delle proteste dei commercianti di Damasco ed Aleppo, il governo ha dovuto cancellare dopo appena una settimana il divieto alle importazioni introdotto per conservare valuta. Un editoriale del quotidiano di Dubai The national invita anche gli stati arabi ad adottare sanzioni economiche contro Damasco, come ha minacciato (finora è in vigore solo l’embargo sulle armi) la Turchia, fondamentale partner commerciale siriano. Lunedi’ il ministro del esteri turco Davutoglu e’ stato il primo leader ad incontrare il Consiglio Nazionale Siriano, fronte unitario dell’opposizione, che ha invitato a procedere verso “una transizione pacifica e democratica…perche’ la situazione attuale e’ insostenibile”, rimarcando il proprio ruolo di primo piano come campioni delle richieste delle rivolte arave contro i regimi dittatoriali e negli equilibri regionali.

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