di Michele Giorgio
Le guerre in Medio Oriente si combattono non solo con le armi da fuoco ma anche con la cultura e la manipolazione della storia. E su questo campo di battaglia è scesa l’amministrazione Usa schierandosi due giorni fa contro il via libera del Consiglio esecutivo dell’Unesco all’ammissione a pieno titolo della Palestina nell’agenzia culturale dell’Onu. Già impegnato nel Consiglio di sicurezza dell’Onu a stoppare la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, il team di Barack Obama adesso minaccia ritorsioni per l’accettazione della domanda palestinese all’Unesco (sostenuta da 24 Stati arabi), peraltro andata oltre le più rosee aspettative: 40 paesi a favore su 58 membri. Tra gli astenuti anche questa volta c’è l’Italia, alleata di ferro del governo israeliano contrario al «sì» dell’Unesco all’ingresso della Palestina. Il segretario di stato Hillary Clinton ha subito condannato la decisione, sostenendo che non si può accettare uno Stato che non esiste, quindi senza frontiere, e che occorre aspettare la nascita della Palestina dopo il raggiungimento di un accordo definitivo israelo-palestinese. Clinton ha dovuto digerire la debacle subita Washington la cui delegazione all’Unesco ha esercitato invano pressioni su diversi paesi. Pressioni che non sono bastate a convincere gli incerti, impermeabili anche al monito con cui la Francia aveva definito «prematura» la richiesta palestinese. Gli Usa avvertono che potrebbero tagliare i finanziamenti all’Unesco (80 milioni lo scorso anno, 22% del totale).
La dura opposizione di Stati uniti e Israele all’iniziativa palestinese all’Unesco – che attende il voto del 25 ottobre a Parigi dei 193 Stati membri per l’approvazione definitiva – non va inquadrata solo sul piano diplomatico e della battaglia in corso al Palazzo di vetro per l’accettazione della Palestina come Stato membro dell’Onu. Il passo mosso dall’Unesco rappresenta una risposta indiretta alla decisione unilaterale del governo Netanyahu di dichiarare, giusto un anno fa, «monumenti del patrimonio storico israeliano» due siti – la Grotta dei patriarchi di Hebron e la Tomba di Rachele di Betlemme – che si trovano entrambi nella Cisgiordania occupata. Un passo fortemente contestato dai palestinesi che considerano un luogo santo la Grotta dei patriarchi (la chiamano «la moschea di Abramo») e criticato anche da una parte della comunità internazionale. Quando saranno membri a tutti gli effetti, i palestinesi potranno richiedere la registrazione di siti archeologici o religiosi in Cisgiordania che Israele vorrebbe annettersi definitivamente.
La posizione anti-palestinese adottata dall’amministrazione Obama ha ulteriormente deteriorato l’immagine nei Territori occupati degli Stati uniti, riportandola indietro agli anni del primo mandato di George W. Bush, il presidente Usa che diede nel 2002 la sua benedizione alla rioccupazione israeliana delle città autonome palestinesi e al «confino» del leader palestinese Yasser Arafat nella Muqata di Ramallah. E le reazioni non sono mancate. Due giorni fa una delegazione ufficiale americana è stata accolta in Cisgiordania dalle grida di protesta di centinaia di manifestanti. Bersaglio di contestazioni aperte da qualche giorno è anche l’inviato del Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) ed ex premier britannico Tony Blair, dichiarato di fatto persona non grata dall’Autorità nazionale (Anp) di Abu Mazen a causa del suo impegno all’Onu contro l’adesione dello Stato palestinese.
A gettare benzina sul fuoco c’è anche la recente decisione del Congresso di bloccare 200 milioni di aiuti americani ai palestinesi per punire Abu Mazen. Un passo, ufficialmente non sostenuto dal Dipartimento di stato – il segretario alla difesa Leon Panetta lo ha definito un errore commesso in un momento delicato – che ha avuto effetti immediati sul terreno. Il ministro dell’Anp per la pianificazione economica, Hassan Abu Libdeh, ha detto che Usaid – l’agenzia governativa Usa per gli aiuti all’estero – ha comunicato lo stop di due progetti (finanziati rispettivamente con 55 e 26 milioni di dollari) in Cisgiordania. Sono già stati congelati anche gli 85 milioni di dollari destinati al sistema sanitario palestinese (gli Usa un anno e mezzo fa si sostituirono proprio all’Italia nell’aiuto alla sanità in Cisgiordania). Sono centinaia i milioni di dollari donati dagli Usa all’Anp in questi ultimi anni. Non pochi di questi fondi sono stati investiti per l’addestramento delle forze di sicurezza palestinesi che operano assieme a quelle israeliane contro gli attivisti (veri e presunti) del movimento islamico Hamas in Cisgiordania.
Una collaborazione che l’Anp non ha interrotto nonostante l’azione israelo-americana alle Nazioni Unite contro lo Stato di Palestina.
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