A Betlemme, sciopero della fame
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A Betlemme, sciopero della fame

Da lunedì i fornai della città hanno incrociato le braccia contro la decisione dell’Autorità Palestinese di ridurre il prezzo del pane.

A Betlemme, sciopero della fame
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14 Settembre 2011 - 11.34


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di Emma Mancini

Samer si scusa, ma oggi non c’è pane per preparare felafel: “I fornai di Betlemme sono in sciopero da ieri (lunedì, ndr). Non sappiamo quanto durerà. Forse finirà domani, forse dopodomani. Inshallah”. Nella città palestinese è di scena lo sciopero del pane dopo che l’Autorità Palestinese ha imposto durante il mese di Ramadan la riduzione del prezzo del pane, per provare a tamponare la crisi economica che sta seriamente colpendo le famiglie palestinesi.

Se a luglio un chilo di pane costava 4 shekel (poco meno di un euro), ora il Ministero dell’Economia lo ha ridotto a 3.5 shekel. Provocando la rabbia dei fornai che hanno deciso di incrociare le braccia. “Una decisione unilaterale che ci danneggia – spiega Ramzin, fornaio di Beit Sahour, sobborgo di Betlemme – La crisi non può ricadere su di noi. È vero che le famiglie palestinesi fanno fatica a causa dei salari bassi, ma anche noi dobbiamo sostenere le nostre famiglie. Il prezzo della farina non si è abbassato, i costi che dobbiamo sostenere sono rimasti invariati. L’unica cosa che cambia con questa imposizione è che incassiamo di meno”.

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Taher Danoun, direttore del ministero dell’Economia a Betlemme, ha spiegato che tale decisione è nata sulla base di uno studio coordinato con gli specialisti dell’Autorità Palestinese e un team di ricercatori: “Con il nuovo prezzo del pane – ha detto – il guadagno netto nelle tasche dei fornai è del 17%, un tasso assolutamente alto e onesto. In ogni parte del mondo, non solo in Palestina, il tasso non dovrebbe superare questo livello”. Insomma, i fornai si devono accontentare, soprattutto a causa della crisi economica che sta investendo i Territori: “Un’ulteriore crisi non è affatto necessaria”, ha concluso.
Ma i fornai non paiono volersi piegare, almeno a Betlemme, unica città nei Territori Occupati interessata allo sciopero. A Ramallah i fornai non ne sanno niente: “Sciopero? No, non siamo in sciopero – ha risposto stupito Amer, da dietro il bancone della sua panetteria – Lavoriamo normalmente, il prezzo del pane è stato abbassato durante il Ramadan, il mese scorso, ma va bene così”.
“Non sapevo dello sciopero – ha detto Amira – Lavoro a Ramallah, ma vivo a Tulkarem. In nessuna delle due città i fornai stanno scioperando. Alla fine si tratta di un problema che non riguarda solo la Palestina, ma tutto il mondo. La crisi economica è forte e coinvolge tutti”.

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Una donna palestinese mentre compra del pane al mercato

A Betlemme, le autorità promettono punizioni. Il direttore del dipartimento di protezione dei consumatori del Ministero dell’Economia, Aded Ilhamid Mazhar, ha detto che organizzerà ispezioni in tutte le panetterie del distretto: quelle chiuse saranno denunciate al procuratore generale.
Una situazione che ricorda quella della Tunisia pre-rivoluzione. Ma allora a protestare per il costo della vita ormai insostenibile non erano i fornai, ma i consumatori, le famiglie. Il pane era diventato a Tunisi il simbolo della rivolta. In Palestina, al contrario, sono le panetterie a chiudere le saracinesche, in protesta contro la decisione di ridurre il prezzo della loro fonte di sostentamento. A pochi giorni dalla richiesta di indipendenza dello Stato palestinese alle Nazioni Unite, lo sciopero dei fornai è un ulteriore esempio delle difficoltà economiche che un Paese senza un’economia solida sarà costretto ad affrontare.

Un’economia che da decenni è totalmente dipendente da quella dell’occupante israeliano, che controlla unilateralmente risorse finanziarie e materiali. “Io lavoro per il governo – ha concluso Amira – e so le difficoltà che l’Autorità Palestinese è costretta ad affrontare. È impossibile pagare i salari dei dipendenti pubblici se Israele blocca il trasferimento del denaro derivante dal pagamento delle tasse palestinesi al governo di Ramallah. Perché funziona proprio così: noi paghiamo le tasse, le tasse le incassa Israele e solo dopo il loro Ministero dell’Economia israeliano le gira all’AP. Se è vero che i fornai stanno scioperando, beh, stanno commettendo un errore: non è colpa dell’AP se non ci sono soldi”.

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