La Siria nell’occhio del ciclone. I sospetti russi sul dopo Libia
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La Siria nell’occhio del ciclone. I sospetti russi sul dopo Libia

Intervista a Boris Dolgov, dell’Istituto di Studi Orientali di Mosca, che analizza la situazione in Siria e la posizione della Russia.

La Siria nell’occhio del ciclone. I sospetti russi sul dopo Libia
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6 Settembre 2011 - 09.30


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di Guy Delorme

Dottor Dolgov ci protrebbe dire, innanzitutto, le ragioni della sua presenza a Damasco e Hama?

Sono qui su invito del governo siriano, e sono uno dei 25 membri della delegazione russa, che comprende rappresentanti del mondo della cultura e del giornalismo, nonché rappresentanti delle associazioni di amicizia russo-siriana.


C’è la sensazione che l’attuale sostegno della Russia alla Siria ha valore di messaggio verso l’Occidente. Un messaggio che dice in sostanza: «Non siamo ingannati dalla vostra retorica sulla democrazia e sui diritti umani, che servono a legittimare le vostre interferenze e i vostri progetti di destabilizzazione». Lei che ne pensa?

In effetti si è già avuto questo scenario, questo approccio in Libia, è inaccettabile che questo si ripeta in Siria. In Libia, l’Occidente non sta lottando per la democrazia, ma incoraggia e interviene in una guerra civile. E la Russia non vuole che la Siria sia vittima delle stesse manovre.

In Francia, si pongono spesso in contrasto Medvedev e Putin, nel tentativo di dividere l’esecutivo russo. Il supporto per la Siria è oggetto di un consenso a Mosca, oppure ci sono delle divergenze?

Credo in realtà che ci siano due tendenze al Cremlino: una più filo-occidentale rispetto all’altra. Ma per ora, la linea ufficiale è quella del sostegno al regime siriano. Questa potrebbe cambiare in futuro, non lo so.


Non pensa che gli americani in Siria rifacciano quello che hanno provato a fare una volta alle porte della Russia, sostenendo le rivoluzioni “arancioni” in Ucraina e Georgia, attraverso le ONG
?

Sì, è praticamente la stessa cosa. Alcune forze vorrebbero cambiare il regime di Damasco per installarne al suo posto uno più favorevole all’Occidente.

Sapete se il presidente Medvedev e il primo ministro Putin hanno frequenti contatti con Bashar al-Asad, in particolare dopo l’inizio della crisi?

Onestamente non lo so.


La Russia ha i mezzi per aiutare la Siria ad affrontare, nei prossimi mesi, i vari embarghi tecnologici ed economici con cui gli euro-americani vogliono schiacciare il Paese?

La Russia sta aiutando la Siria in diverse aree, anche perché i legami tra i due paesi sono antichi oltre che stretti e risalgono ai tempi dell’Unione Sovietica. Detto questo, non penso che eventuali acquisti russi di gas o petrolio siriano costituirebbero la parte principale dell’aiuto di Mosca.

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I media russi trasmettono informazioni circa la presenza in Siria di gruppi armati di orientamento salafita e responsabili dei crimini, o l’informazione è manichea come da noi?

La maggior parte della stampa russa fornisce informazioni che potremmo definire “neutrali” con dei reportage sull’opposizione e altri sui sostenitori del regime. Le informazioni più dettagliate, meno conformiste, sono fornite da riviste e giornali più “specializzati”. L’esistenza di gruppi armati è inoltre evidenziata da una stampa più impegnata.

Ma il popolo russo, in generale, è favorevole alla linea filo-siriana, o è sensibile alla propaganda occidentale su questo argomento?

Gran parte degli intellettuali russi, in particolare dei docenti universitari, è ben consapevole delle sfide e delle vicissitudini della situazione, e sostiene l’approccio pro-siriano da parte del governo russo. Le classi popolari sono, naturalmente, meno sensibili su questo argomento.

Il rappresentante russo presso la Nato, Rogozin, ha parlato di un imminente attacco delle forze occidentali contro la Siria. Credete veramente che questo sia possibile?

Sì, penso che sia possibile, specialmente dopo la caduta di Gheddafi in Libia. Ma certamente non subito. Esiste un consenso occidentale per colpire la Siria.

Ma lei pensa che la Russia, insieme con la Cina, terrà duro nel Consiglio di Sicurezza e non concederà agli occidentali alcuna risoluzione, che, come abbiamo visto nel caso della Libia, potrebbe servire come trampolino per un’aggressione militare?

Sì, lo penso, in quanto la sovversione della Siria avrebbe conseguenze troppo gravi per la regione. Ma bisogna dire che la situazione economica molto grave che affrontano, tra gli altri, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dà loro scarse possibilità di impegnarsi in una nuova avventura militare.

Pensa che l’atteggiamento americano è anche legato alla presenza della base navale russa di Tartus?

Non è, a mio avviso, la ragione principale, perché la base ha un’attività molto ridotta rispetto ai tempi dell’URSS.

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In caso di una escalation americana ed europea contro Damasco, Mosca che potrebbe fare per difendere la Siria? E perché la diplomazia russa non ha supportato maggiormente Gheddafi?

L’ho già detto, ci sono due tendenze al Cremlino: una filo-siriana, l’altra che tenta un riavvicinamento con l’Occidente. C’è anche la questione delle relazioni economiche con i Paesi occidentali che non possono essere sacrificate ogni volta per considerazioni strettamente geopolitiche. In ogni caso, ci sarà più chiaro dopo le prossime elezioni presidenziali.

E che dire della diplomazia russa nei confronti degli altri Paesi musulmani strategici come la Turchia e l’Egitto, o l’Iraq?

Per quanto riguarda l’Egitto, noto una islamizzazione del Paese che non va nella direzione degli interessi statunitensi e israeliani, e le recenti notizie lo confermano. La diplomazia russa tende a privilegiare il lato pratico, vale a dire i rapporti economici con questi Paesi, a discapito della geo-strategia.

Come vede il futuro della Siria dopo il nuovo discorso alla nazione di Bashar, e dopo la visita ad Hama? Le cose si stanno calmando, o la crisi, al contrario, si riaccenderà?

Vedo due tendenze: una positiva, con la ripresa del controllo da parte delle autorità nelle zone e città problematiche, e con il supporto, ne sono certo, della maggioranza dei siriani. Non bisogna dimenticare che il regime baathista ha fatto molto – per esempio l’istruzione e la salute sono gratuiti – e la situazione sociale ed economica in Siria è molto migliore che nei Paesi vicini. A mio parere, però, e questo è il lato negativo, le ragioni principali della crisi sono più al di fuori che dentro i confini siriani. Infatti esistono dei piani per lo smembramento del paese, uno di questi, ad esempio, prevede l’assegnazione di una porzione di territorio siriano alla Turchia, un’altra porzione a Israele, un terzo “pezzo” formerebbe un Kurdistan indipendente. Ma ancora una volta l’intervento straniero contro il Paese mi sembra inconcepibile in questo momento.

Questo piano di cui parla, chi lo ha escogitato, gli americani, gli israeliani?
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Ho saputo del piano da alcuni articoli di esperti di geopolitica russi. Esso si inserisce, in ogni caso, nel contesto delle relazioni storiche della Siria con la Giordania, Israele, la Turchia. Ad esempio, l’ultimo di questi è l’erede dell’impero ottomano che controllava l’attuale territorio siriano. E oggi Ankara è di nuovo una potenza regionale che senza dubbio non ha rinunciato a recuperare tutti o parte dei suoi ex territori. Israele, poi, naturalmente, ha tutto l’interesse a indebolire la Siria.

Un’azione militare contro la Siria coinvolgerebbe certamente l’intera regione. Possiamo anche dire che si avvicinerebbe pericolosamente ad una guerra mondiale. In queste condizioni, il veto russo non protegge solo la Siria, ma il mondo intero della follia euro-americana…

Assolutamente. Ma ripeto che una risoluzione anti-siriana non ha alcuna possibilità di essere sostenuta dalla Russia nel prossimo futuro.

Lei ha sentito ieri il discorso televisivo del presidente Bashar al-Asad (lei parla correntemente l’arabo). Pensa che questo discorso possa “calmare” i governi occidentali, o sono in ogni caso decisi a cercare l’incidente e ad aggravare la crisi, non importa quali riforme possa promuovere il presidente siriano?

Le riforme sono necessarie per riconciliare i siriani fra loro. Ma le potenze occidentali vogliono, comunque, un cambiamento di regime. A tutti i costi. Le riforme a loro non interessano.

Un’ultima domanda: crede che la politica riformista di Bashar possa isolare rapidamente l’opposizione radicale dalle fazioni più riformiste e moderate?

Ci sono infatti due opposizioni siriane: il dialogo è possibile con una di loro. Soprattutto ora che una legge per il multipartitismo è stata emanata. L’articolo 8 della Costituzione che dichiara il ruolo dominante del Baath continua ad essere un problema, almeno agli occhi dei riformatori. Vedremo se il dialogo può fare avanzare la situazione. Per i radicali, c’è solo il linguaggio delle armi e il potere non può fare a meno di reprimerli.

Avete delle informazioni sulle dimensioni dei gruppi armati?

Da quello che so, consistono in poche centinaia di individui. Questo fenomeno è molto piccolo, ma efficace al suo livello.

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