Balle di guerra. La disinformazione regna in Libia
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Balle di guerra. La disinformazione regna in Libia

Il Consiglio nazionale transitorio, che ha vinto la guerra civile libica, continua a diffondere informazioni false per demonizzare i perdenti pro-Gheddafi e ottenere altri aiuti.

Balle di guerra. La disinformazione regna in Libia
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30 Agosto 2011 - 12.10


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di Marinella Correggia


Di menzogne per demonizzare l’avversario
e nobilitare l’intervento Nato, la guerra in Libia è costellata. Ecco due esempi degli ultimi giorni.
1) «I lealisti Gheddafi hanno tagliato acqua e luce a Tripoli». Il presidente del Cnt, Jalil, chiede aiuti umanitari e sostiene fra l’altro che manca l’acqua a Tripoli perché «i lealisti l’hanno tagliata». Il Cnt mente sin dagli inizi del conflitto, quando sostenne che i «miliziani di Gheddafi» avevano fatto 10mila morti. Tale Sayed Senouka lanciò la notizia alla tv saudita al Arabya sostenendo di essere membro libico della Corte penale internazionale. Il giorno dopo la Cpi smentì di avere alcun rapporto con Senouka, ma ormai i 10mila morti erano diventati un mantra. Da lì … la necessità di proteggere da altri massacri la popolazione di Bengasi con le bombe Nato sui tripolini. Quella cifra si rivelò un’enorme menzogna (Amnesty stimava in poco più di 200 i morti delle due parti nei primi scontri pre-Nato).

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Ora la menzogna di Jalil riguarda l’acqua.
In realtà la colpa della mancanza di acqua ed energia a Tripoli è della Nato e del Cnt. Lo spiega la stessa Al Jazeera che è andata e vedere i centri di pompaggio: i depositi sono vuoti perché la mancanza di elettricità rende impossibile il pompaggio dal Grande fiume. E di chi è la colpa per i black out elettrici?
A) E’ effetto delle bombe Nato su infrastrutture anche civili;
B) si deve alla rottura degli approvvigionamenti petroliferi causa l’embargo navale e gli scontri in aree strategiche;
C) ai sabotaggi di oleodotti e gasdotti dalle montagne Nafusa, a opera dei ribelli.

2) «Una psicologa di Bengasi denuncia: Gheddafi e i figli stupravano le amazzoni». Secondo il Sunday Times of Malta ripreso da molti media, a Siham Sergewa, psicologa infantile di Bengasi, alcune ex bodyguard del Raìs avrebbero raccontato di essere state abusate, da lui e anche dai suoi figli. Però la Sergewa è stata sbugiardata dall’inviato dell’Onu in Libia, in aprile, Cherif Bassiouni e da Amnesty. La donna era stata la fonte dell’accusa ai militari governativi di usare lo stupro come arma di guerra. Aveva infatti detto di aver spedito per posta alle donne dell’Est libico, dopo gli scontri di febbraio, 70.000 questionari, ottenendone indietro ben 60.000 compilati in sole 3 settimane (e in tempi di guerra!). E 259 donne avevano confermato di essere state violentate da soldati «di Gheddafi».

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Come si può leggere in questo articolo del [url”New York Times”]http://www.nytimes.com/2011/06/20/world/africa/20rape.html?_r=1&_%20r=1&pagewanted=all[/url] fra molti, diversi esperti diffidavano. Poi il discredito ufficiale: quando Diana Eltahawy, [url”di Amnesty”]http://www.libyafeb17.com/2011/06/amnesty-questions-claim-that-gaddafi-ordered-rape-as-weapon-of-war/[/url], ha chiesto di incontrare alcune donne, la psicologa ha detto di aver perso i contatti. Bassiouni ha sostenuto di non aver alcuna prova di stupri e quanto alla Sergewa, ha detto che quando le è stata chiesta copia dei 60.000 questionari, non li ha mai inoltrati.

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