L’Africa orientale sta vivendo quella che è stata descritta dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) come “la più grave crisi alimentare oggi nel mondo”.
Sono più di sei milioni le persone coinvolte nel disastro a Gibuti, in Etiopia, in Kenya, in Somalia e in Uganda.
In Somalia, uno dei paesi più duramente colpiti della zona, si registrano allarmanti livelli di malnutrizione.
“Non siamo più sull’orlo di un disastro umanitario, ci siamo già dentro, E’ ciò che sta accadendo e nessuno ci sta aiutando”, ha detto Isaq Ahmed, il presidente del Mubarak Relief and Development Organization (MURDO), una ONG che opera nella regione della Bassa Shebelle della Somalia, il 28 giugno.
“Nei tre distretti di Qoryoley, Kurtunwarey e Sablale la nostra stima è che circa 5.000 famiglie (circa 30.000 persone) sono state gravemente colpite dalla siccità in corso”.
Ahmed ha detto che sono migliaia le persone che riescono cercano la sopravvivenza a Mogadiscio. “Quelli rimasti nella zona sono coloro che non possono nemmeno permettersi il trasporto a Mogadiscio” sottolinea Ahmed, aggiungendo che un certo numero di persone sono morte a causa della fame e di malattie correlate.”La maggior parte delle vittime erano bambini, anziani, lattanti e donne incinte”.
Nella Bassa Shabelle vengono seppellite almeno otto persone al giorno, tutte decedute per la fame, afferma all’agenzia dell’ONU il Sultano Sayidali Hassanow Aliyow Ibirow, un anziano capo tribale. La maggior parte di loro erano pastori che già avevano perso tutto. “Tre anni di poca o nessuna pioggia hanno portato a questo disastro. Le persone non hanno recuperato le perdite precedenti, ed ora abbiamo una siccità che è ancora peggiore”.
La più forte carestia dal 1950.
In molte zone pastorali, secondo l’Ocha, questa è la stagione più arida mai registrata dal 1950.
Le condizioni di siccità in Somalia hanno avuto implicazioni in tutta la regione, con un flusso di rifugiati in Kenya, Etiopia e Gibuti.
Un operatore umanitario a Mogadiscio, che ha preferito l’anonimato, ha detto a IRIN che il numero di persone proveniente dalla baia, Bakol e Lower Shabelle, e che entra in campi di sfollati nel corridoio di Afgooye, è aumentato negli ultimi mesi. “Si tratta di un flusso costante, arrivano a centinaia ogni giorno”.
Secondo Save the Children, i bambini che arrivano dalla Somalia nel campo profughi di Dadaab nel nord del Kenya sono sfiniti, denutriti e disidratati. “Quasi ogni bambino o genitore con cui abbiamo parlato dice che a farli fuggire non sono solo i combattimenti in Somalia ma anche la siccità e la mancanza di cibo, oggi ugualmente pericolose per la loro sopravvivenza”, racconta Catherine Fitzgibbon, del programma Save the Children Kenya.
Gli esperti avvertono che la situazione potrebbe precipitare se le piogge ritarderanno ancora o saranno così scarse da compromettere il raccolto.
In Etiopia, il numero stimato di persone bisognose di assistenza per l’emergenza alimentare va da 2.8 a 3.2 milioni.
Quasi due terzi del fabbisogno viveva nelle regioni meridionali, dove sono stati registrate carenza di acqua e di cibo. I prezzi dei cereali hanno continuato a salire, con tassi di inflazione vicino al 30 per cento registrati nel mese di aprile.
Secondo il Food Security and Nutrition Working Group, un forum regionale, il tasso di rifugiati somali che arrivano nel sud dell’Etiopia è salito da 5.000 al mese a più di 30.000 nella seconda settimana di giugno. Tra i nuovi rifugiati nei due campi di Dolo Ado, la Global Acute Malnutrition (GAM) registra un tasso di malnutrizione del 45 per cento, ben al di là della soglia del 15 per cento d’emergenza fissata dall’organizzazione mondiale della sanità. A Gibuti, le scarse piogge da marzo a maggio di quest’anno hanno fatto salire alle stelle i prezzi dei generi alimentari. Il prezzo medio della farina di grano è aumentato del 17 per cento tra gennaio e febbraio 2011, secondo la UN Food and Agriculture Organization’s Global Information and Early Warning System, GIEWS.
In Kenya, i tassi di inflazione crescente hanno influenzato negativamente la capacità delle famiglie povere di comprare cibo. I prezzi dei alimenti principali come il mais, sono triplicati da circa 1.300 scellini (US $ 14.4) nel mese di gennaio a 4.500 ($ 50) per un sacchetto di 90kg.
Recentemente, il governo ha annunciato la rimozione delle imposte all’importazione di granturco nel tentativo di fare da cuscino ai consumatori, un gesto che avrà comunque un impatto limitato sui prezzi della merce a livello locale.
“Il problema è stato aggravato dal fatto che lo scellino del Kenya è in caduta libera, il commercio al livello più basso mai vissuto prima nel paese. Non credo che la situazione migliorerà in breve tempo”, ha detto ad Irin un mugnaio che vuole restare anonimo. Da marzo a maggio di quest’anno le “lunghe pioggie” in Kenya sono state scarse per la seconda o terza stagione consecutiva, nota il Famine Early Warning Systems Network (FEWSNET).
Le conseguenze sono scarsità di acqua e pascoli in declino, e le successive morti del bestiame.
Nel nord, abitato prevalentemente da pastori, una bassa produzione di latte ha contribuito ai livelli di malnutrizione con un’impennata superiore al 35 per cento. Il tasso di malnutrizione nel nord ovest del Turkana ha toccato il 37,4 per cento, la percentuale più alta mai registarata nel distretto.
A livello nazionale, almeno 3,2 milioni di persone sono attualmente instato di emergenza alimentare; la proiezione arriva a 2,4 e 1,6 milioni rispettivamente nel mese di aprile e gennaio.
Anche nella regione costiera del Kenya sono migliaia le persone a rischio fame totale, dice Gerald Bombe del Kenya Red Cross Society.
“Siamo in emergenza, abbiamo la necessità di importare mais e distribuire cibo e acqua alle zone più colpite”, si appella Kevin Lunani, un leader locale della regione costiera Kisauni.