Zuppi, Paglia e la Camaldoli europea

L’Europa è chiamata a rinnovare il suo impegno per la pace, la democrazia e la cooperazione internazionale, superando la crisi dei nazionalismi e affrontando le sfide globali con unità e solidarietà.

Zuppi, Paglia e la Camaldoli europea
Il cardinale Zuppi e papa Francesco
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14 Marzo 2025 - 10.12


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di Antonio Salvati

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Siamo in un momento internazionale delicato. Siamo in forte apprensione per la situazione in Medio Oriente e preoccupati per la fragile tregua su Gaza dove occorre che tutti rispettino gli accordi. Ci sono guerre all’interno di un popolo, come in Sudan, nel nord del Congo e, nelle ultime ore, in Siria. Continuiamo a seguire con trepida attenzione quanto avviene in Ucraina, sottoposta a bombardamenti e attacchi sistematici. Il mondo guarda con attenzione e speranza al possibile dialogo tra Ucraina e Russia, mentre auspichiamo che questo possa segnare una nuova stagione per tutti quei Paesi – tra cui Stati Uniti, Europa e Cina – che, a vario titolo, sono più di altri direttamente coinvolti nella ricerca della pace. Nello stesso tempo in Europa si cerca rilanciare l’Ue sul riarmo e la crescita dell’industria bellica quali “motore economico”, come affermato dalla presidente della Commissione Von der Leyen. In realtà, si tratta di una pericolosa illusione che rischia pesantemente di far deragliare definitivamente l’Unione europea perché non affronta i suoi problemi. Indubbiamente il disegno europeo sta vivendo una forte crisi – non da oggi – a causa della risurrezione dei nazionalismi e di movimenti pericolosamente estremisti. Anche per l’odierno disinteresse palese dell’amministrazione Usa. 

Eppure, l’Unione Europea è nata – è opportuno ribadirlo – dalla voglia di pace di un continente che il secolo scorso era stato semidistrutto da due sanguinose guerre mondiali nate dallo scontro dei nazionalismi e delle ideologie totalitarie.

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Tuttavia, sono oggi in tanti a chieder una nuova soggettività dell’Europa. In questo momento è, pertanto, utile ed importante una mobilitazione dal basso che indichi questa strada. Come la manifestazione Una piazza per l’Europa che si svolgerà sabato 15 marzo, dalle ore 15, in piazza del Popolo a Roma.

Occorre però che essa possa avviare un percorso decisivo verso la costruzione comune del bene. Dal mondo cattolico italiano – soprattutto dopo la Settimana Sociale di Trieste – sono tanti che credono che sia il tempo favorevole perché l’Europa esprima la propria visione di politica estera ispirata alla cooperazione internazionale e tesa alla ripresa del multilateralismo, orizzonte all’interno del quale è possibile comprendere ogni altra iniziativa sul piano della difesa comune e della sicurezza, vigilando che sia un percorso davvero “comune”. Il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha rilanciato in questi giorni una proposta di una Camaldoli europea, con partecipanti da tutta Europa, per parlare di democrazia ed Europa. «Mi pare che, nei nostri ambienti, specie tra i giovani, ci sia voglia di dare un contributo in linea con il Vangelo, la nostra storia, il pensiero sociale della Chiesa. È il momento!». «Ottant’anni fa, il 9 maggio 1945, finiva la Seconda guerra mondiale sul suolo europeo», ha ricordato il presidente della Cei. «Data da ricordare e che fa pensare. Anche perché il fantasma di una nuova guerra mondiale si è aggirato negli ultimi anni e il Papa l’ha denunciato».

Dello stesso avviso è Vincenzo Paglia che – in recente incontro Una vita autentica. Dialogo tra socialismo e cristianesimo promosso da Goffredo Bettini – ha invocato uno scatto di pensiero per resistere a quanto accade. Un nuovo pensiero. Senza una visione unitaria ed europea, avverrà quel congedo dalla storia, di cui ha parlato Benedetto XVI. Ma non siamo troppo abituati a vivere senza visioni? Scriveva in una poesia Giovanni Paolo II: «io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di visione». E concludeva: «Se soffre per mancanza di visione –deve allora aprirsi la strada fra i segni…». Paglia ricorda Giorgio Gaber che nel 1994 cantava: «…e pensare che c’era un pensiero». Oggi siamo allibiti dalla crisi della democrazia e dalla crescita delle cosiddette democrature. Le spinte unitive si assottigliano. L’impatto con la globalizzazione, con l’India, la Cina, con civiltà, economie e demografie in ascesa, non potrà essere condotto in modo isolato dai singoli paesi. Se non saremo insieme, i paesi europei saranno quantité négligeable. Così i nostri valori e identità si diluiranno nelle correnti della globalizzazione. E sarà una perdita per il mondo e la civiltà. È un’illusione navigare nella storia globale disuniti. Per questo anche Paglia ha auspicato una nuova Camaldoli per fronteggiare le nuove sfide della trasformazione digitale e del cambiamento climatico. È sicuramente cambiato il rapporto con la politica: mentre i protagonisti dello spirito di Camaldoli si confrontarono con gli esiti nefasti del totalitarismo, oggi dobbiamo misurarci con un non meno insidioso pericolo dato dalla delegittimazione della politica democratica, ma anche con una strisciante rinuncia a quella che dovrebbe essere la sua finalità fondamentale, vale a dire un servizio – istituzionale e democraticamente partecipato – all’edificazione e alla promozione del bene comune. Occorre riappropriarsi di questo stile di elaborazione competente e discussione generosa, che sappia affrontare la complessità delle trasformazioni in atto senza cedere alla tentazione tecnocratica di approcci iper-specialistici. Ritrovare lo spirito di Camaldoli significa ritrovare la politica come stile di abitare oggi la complessità, come uno spazio trasformato da un nuovo agire sociale più fraterno e più prossimo, per ragionare e lavorare insieme intorno a «un ordine sociale non solo astrattamente giusto ed umano, ma anche concretamente e storicamente possibile» (dalla Presentazione del Codice di Camaldoli). Da quello spirito nacque la Costituzione del 1948 per servire il bene di tutti. Sarebbe auspicabile – per Paglia – una Camaldoli europea. L’Europa può giocare un ruolo fondamentale nel tracciare – ancor prima del nostro paese – una prospettiva universalistica. Una sfida ineludibile e indispensabile. Paglia si chiede se non abbiamo individualizzato troppo i nostri sogni e la politica? Solo una civiltà ecumenica, senza frontiere, è capace di sognare una città – la Gerusalemme celeste – come comunità di destino. È quello che papa Francesco ha espresso in maniera egregia con le due encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti: una casa comune per tutti e una famiglia plurale che non esclude nessuno.

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Il recente comunicato finale del Consiglio Permanente della CEI ha sottolineato che «le origini storiche e la vocazione alla pace dell’Europa comunitaria ne fanno un soggetto irrinunciabile e ne richiamano gli impegni sulla scena globale. Un’Europa che ha bisogno di recuperare i suoi valori fondativi – pace, libertà, democrazia, diritti, giustizia sociale – facendo risuonare la propria voce di pace». In un momento storico in cui si insiste sui temi della sicurezza e della difesa, è fondamentale – hanno ribadito i vescovi italiani – «che tali preoccupazioni non diventino tamburi di guerra». In linea con l’espressione richiamata dal Cardinale Zuppi «se vuoi la pace, prepara la pace», i Vescovi hanno ricordato l’urgenza che gli investimenti pubblici siano indirizzati primariamente a sostenere le persone bisognose, le famiglie povere, le fasce sociali più deboli, ad assicurare a tutti adeguati servizi educativi e sanitari, a contrastare il cambiamento climatico. In quest’ottica, «sarebbe opportuno riportare il tema dello sviluppo sostenibile al centro delle scelte politiche degli Stati e delle Organizzazioni internazionali, tra cui l’Unione Europea». La sottolineatura del Card. Zuppi sulla opportunità di una “Camaldoli europea” «rilancia, anche sulla scorta di quanto sperimentato alla Settimana Sociale di Trieste, l’impegno personale e comunitario per la democrazia, la pace, la solidarietà e le future generazioni».

Significativa l’adesione della Comunità di Sant’Egidio alla manifestazione di sabato prossimo. A Sant’Egidio non smettono di rimarcare che il mondo si trova immerso nella tragedia della guerra. Va scomparendo la generazione che ha vissuto l’ultima guerra mondiale con il suo carico di odio e di dolore, rischiamo di perdere una memoria sana di quegli eventi e delle loro vere cause. La logica del più forte – è la preoccupazione più volte espressa da Andrea Riccardi – sembra prevalere e quasi diventa affascinante e accettata in modo acritico. Non a caso il Presidente Mattarella ha affermato recentemente come l’architettura internazionale del disarmo, in particolare quello relativo alle armi nucleari, sia «minata da irresponsabili retoriche di conflitto, quando non dai conflitti in atto».

Continuamente il Santo Padre ha sempre incoraggiato la ricerca di spazi e di occasioni di incontro e confronto altrimenti l’umanità rischia di perdersi e di non riconoscersi più, esprimendo la forte preoccupazione verso iniziative e soluzioni che si sottraggono al percorso faticoso della politica e della diplomazia.  Questo non sembra il tempo in cui si condivide la coscienza di essere un’unica famiglia e, purtroppo, non ci si tratta da fratelli, come auspica Papa Francesco. Anzi, ci si rapporta da nemici e ci si esercita nell’arte della guerra più che in quella del dialogo. In realtà, c’è un’aspirazione -a Sant’Egidio ne sono convinti – a riconnettersi di nuovo agli altri, ed esiste più di quanto si creda. Questo ci rende meno rassegnati, non si deve ripartire da zero. C’è una tradizione, quella dell’umanesimo europeo, che «è una risorsa dell’anima – dice Bettini – a cui attingere a mani piene» e non solo a livello politico. David Maria Turoldo, poeta e un grande cristiano, scrisse una poesia-preghiera, vera anche per oggi: «Signore, salvami dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito. Ridonaci la capacità di piangere e di gioire…».

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