In una Beirut uccisa il 4 agosto dello scorso anno con la polverizzazione del suo porto commerciale, uno dei più grandi del Mediterraneo orientale, il sangue causato dagli scontri di ieri ha evidenziato che se ci fosse stato un golpe ci sarebbe anche stata guerra civile. Questo ha allarmato le cancellerie internazionali, ma ora si è passati al golpe permanente. Bisogna capire perché, chi sono i soggetti, quale la posta in gioco.
Tutto origina dalla richiesta ufficiale dei due partiti che si sono intestati la rappresentanza della comunità sciita, i khomeinisti di Hezbollah e i loro alleati di Amal, di chiedere al governo la rimozione del giudice che indaga sull’incredibile esplosione che un anno fa ha polverizzato il porto di Beirut.
Il loro ex premier, in carica al tempo del fungo para-atomico che ha ucciso Beirut, e due ministri da loro indicati, si sono sempre avvalsi dell’immunità ministeriale per non rispondere alle domande del magistrato inquirente. E per due volte ne hanno chiesto la sostituzione alla Cassazione, per legittima suspicione. Richiesta entrambe le volte respinta. Così loro si sono rifiutati di farsi interrogare anche ora e i due partiti a cui fanno riferimento hanno chiesto al governo di rimuoverlo con un decreto governativo. Forse non sanno che i poteri in una Repubblica sono separati. Ma il governo non ha respinto la richiesta, ha preso a studiarla. Loro a quel punto hanno scatenato la piazza, chiamando i loro a manifestare, molti con armi in pugno. Gruppi rivali hanno sfidato i manifestanti e sul terreno sono rimasti morti e feriti. Le diplomazie del mondo sono impazzite: torni la calma, tuonano in tanti. Ma ora è rimpallo delle responsabilità. Hezbollah e i suoi alleati di Amal puntano il dito contro gli armati che hanno osato sfidarli: li indicano in miliziani del partito cristiano di Samir Geagea, che nega e rilancia: non sono loro ad aver cominciato l’azione armata? Ora sul tavolo del governo ci sono tre richieste: rimozione del magistrato, apertura di un’inchiesta giudiziaria su Geagea e i suoi, inchiesta sull’inazione dell’esercito mentre veniva aggredito il “pacifico” corteo.
Il capo dello Stato e quello del governo se la sono cavata dicendo: del giudice ci occuperemo nei limiti previsti dalla costituzione, gli scontri sono colpa di entrambi, l’esercito vigili su tutti. Ma non basterà. Hezbollah e i suoi alleati minacciano la crisi di governo, i loro ministri hanno già rinunciato ad andare alle riunione d’emergenza del gabinetto Miqati. Se non avranno quanto chiedono, almeno sul magistrato inquirente, sarà così. E allora? Allora il governo non potrà che dimettersi, rimarrebbe in carica per il disbrigo degli affari correnti. Questo governo è nato appena qualche settimana fa e dal 4 agosto dello scorso anno, dall’esplosione del porto, il governo è stato sempre dimissionario. Un anno di governo per il disbrigo degli affari correnti mentre il Paese sprofondava nella carestia, nella disperazione di un popolo che non ha più cibo nei negozi, energia nelle centrali elettriche, benzina ai distributori. Tutto tornerà così? E’ molto probabile.
Hezbollah sa che la magistratura ha carte che rendono evidente che l’esplosione di Beirut è stata un’azione decisa nei piani alti del suo quartier generale. Ma perché avrebbe fatto saltare Beirut? Bisognava distrarre il mondo dalla sentenza del 5 agosto 2020, poi rimandata al 10, che l’ha inchiodata alla condanna di aver ucciso l’ex premier Rafiq Hariri. Quella condanna pronunciata da un tribunale internazionale non ha avuto alcuna conseguenza solo perché Beirut era crollata, distrutta da chi la governa. Infatti le grandi diplomazie hanno taciuto, tutte. Era un piano perfetto, non si fosse messa di mezzo la magistratura. Hezbollah però non può accettare questo processo. Come è impossibile che la magistratura faccia marcia indietro se non lo ha fatto sin qui. In ballo c’è la permanenza di un sistema giuridico indipendente e i magistrati lo sanno.
Inoltre Hezbollah non apprezza che Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale salvino il Libano su richiesta di un esecutivo che deve negoziare con loro. Preferisce importare illegalmente la benzina iraniana e dire ai libanesi: circolate perché io vi ho portato la benzina degli ayatollah. Ma Tehran non ha i soldi per fare altro e il Libano muore di fame. Il golpe dunque deve essere permanente, le imminenti elezioni politiche cancellate, il Libano deve dissolversi in un’apparenza mentre esiste solo Hezbollah. E’ il golpe permanente; non serve che Nasrallah entri in persona nei palazzi del potere. Ma anche questo piano che sembra perfetto ha la sua vulnerabilità: la magistratura. E’ l’ultimo potere rimasto a testimoniare l’esistenza di un Libano indipendente e sovrano. Uccidere il magistrato inquirente sarebbe un errore? Probabilmente sì. Hezbollah con infiniti ricorsi tenta di penalizzare l’inchiesta. Il gioco sembra scoperto, cosa farà la piazza? Cosa faranno i parenti delle tantissime vittime del 4 agosto 2020? Qualcuno direbbe che il destino del popolo è nelle mani del popolo. E’ troppo, ma la sfida viene da lì. La base di Hezbollah già rumoreggia, i consensi calano, la sfida dei magistrati è tremenda, anche per Hezbollah.