Francesca Baglieri: un'artista e ricercatrice siciliana
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Francesca Baglieri: un'artista e ricercatrice siciliana

I pensieri di chi vorrebbe fare dell’arte la propria vita. Dalla produzione dell’opera alla responsabilità dei propri artefatti

Francesca Baglieri: un'artista e ricercatrice siciliana
Francesca Baglieri
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22 Marzo 2025 - 22.12 Culture


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di Vittoria Calabrese

Quando ho conosciuto Francesca Baglieri avevo appena messo piede al Liceo Artistico. Io iniziavo un percorso che lei stava già per terminare ma eravamo lì per lo stesso motivo: l’amore per l’arte. Lei ha concretizzato questa passione facendola diventare la sua professione. Dopo il diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, nel 2022, fonda nella stessa città insieme ad altri quattro artisti (Rossella Poidomani, Roberto Orlando, Alberto Orilia, Antonio La Ferlita) e una curatrice (Ilaria Cascino) lo spazio espositivo Parentesitonde e ha nel suo curriculum diverse esperienze in residenze artistiche in Italia ed Europa. Cosa vuol dire investire la propria vita sull’arte? Ne abbiamo parlato insieme.

Francesca, qual è stata la prima scintilla che ti ha fatto capire che la tua strada sarebbe stata l’arte?

In realtà non c’è stata, l’ho sempre saputo e non ho mai avuto un piano B. È come se l’avessi sempre avuto dentro, non c’è stato un momento in cui mi sono svegliata e ho deciso di far l’artista, non c’è quella scintilla. Ti potrei dire che all’asilo mi piaceva disegnare, ma a tutti i bambini piace disegnare. Il primo ricordo che ho legato all’arte è che a casa di mia nonna Maria iniziavo a copiare le mucche e i maiali che erano disegnati sui grandi pacchi dei mangimi, ma sono cose da bambini, fatte senza consapevolezza.

Quali sono i soggetti principali dei tuoi elaborati?

Premetto che più che un’artista voglio essere, e mi piace pensarmi, ricercatrice. Ritengo che creare un’opera sia un atto politico e che quando scegli di fare un oggetto devi prenderti le tue responsabilità e domandarti se quello che stai facendo può servire ed essere utile in qualche modo. Le ricerche che porto avanti riguardano argomenti antropologici che voglio studiare nei luoghi e negli avvenimenti che più mi interessano. A volte avverto la mancanza del terreno sotto ai piedi, come se da un momento all’altro potremmo ritrovarci in mezzo ad una catastrofe, alimentare o bellica che sia, e ho bisogno di darmi delle spiegazioni.

Quindi cercare di capire?

Studiare quei comportamenti primordiali che hanno portato l’uomo a comportarsi in una determinata maniera mi aiuta a darmi delle risposte. Ad esempio, al momento sono in una residenza artistica in Francia e la prima cosa che ho fatto, e che faccio sempre, è stata capire quali materiali compongono il terreno, che tipo di sussistenza hanno le persone di questa area, come ragionano, come si alternano le stagioni e che tipo di prodotti alimentari consumano. Tutti questi elementi mi permettono di giustificare e capire l’indole delle persone, il loro rapporto con il territorio e come sia loro che i loro antenati lo hanno modificato.

Quali materiali utilizzi per le tue opere?

Utilizzo i materiali in maniera distinta per il lavoro nel mio studio e il lavoro in residenza artistica. Da un paio d’anni utilizzo ad esempio il lanital, un tessuto ricavato dalla caseina presente nel latte. Ho scoperto questo materiale durante una residenza a Tresigallo, in provincia di Ferrara, e ad attrarmi non è stata solo l’idea di poter dipingere sul latte, ma soprattutto la storia di questo materiale. Tresigallo è una città che nessuno ricorda perché è stata una delle città di fondazione fascista più importanti del ventennio. Mussolini bonificò quell’area inizialmente paludosa e inviò lì un sacco di ingegneri, tra i quali Antonio Ferretti, che brevettò questo materiale prodotto dagli scarti del latte. Quando la guerra finì Tresigallo finì nell’oblio, e quando sono andata lì le persone avevano voglia di parlare e raccontare le loro storie perché si sentivano veramente dimenticati.

Quanto è complicato il rifornimento dei materiali?

Il lanital è un materiale difficile da reperire, usato in campo farmaceutico perché particolarmente adatto alla cura delle ustioni oppure da start-up o da agenzie di abbigliamento che vogliono usare un prodotto sostenibile. Al momento un’azienda d’abbigliamento romana mi fornisce un paio di volte l’anno il materiale che va poi trattato per scolorirlo e per evitare che si sfibri. Tutti gli altri materiali che utilizzo nelle mie opere li ho scoperte durante i periodi in residenze artistiche: a Ficarra, la penultima residenza che ho fatto ho sperimentato ad esempio con la sansa, qui in Francia sto lavorando su argilla e carbone perché sono materiali che caratterizzano quest’area dove il terreno dei fiumi è argilloso e sono presenti miniere.

Hai citato le residenze artistiche, puoi spiegarci di cosa si tratta?

Rispecchia un po’ quello che è nato a fine 800 quando gli artisti venivano invitati nelle corti per vedere nuovi luoghi. La residenza è proprio questo, si va a scoprire un altro luogo.  Per me la residenza è necessaria, perché mi permette di fare indagine e stare in un luogo per diverso tempo, per altri però questa esperienza non è necessaria.

Durante la residenza l’artista ha l’obbligo di produrre e lasciare delle opere?

Dipende dal bando e dalla fondazione che ti ospita, si trova scritto nel contratto di riferimento. Ad esempio nel caso di una residenza in Abruzzo non era richiesta la produzione di un’opera, altrove invece sì.

Quindi tutto si definisce tramite bandi, non capita che qualcuno ti chiama perché interessato al tuo lavoro?

No, capita anche che ti chiamino perché interessati al tuo lavoro. Per la residenza di Ficarra sono stata chiamata dal curatore e dal direttore artistico del programma che si fa lì perché avevano notato un lavoro che avevo fatto sull’olio insieme ad un altro artista salentino e voleva propormi di continuare a lavorare sullo stesso materiale sfruttando il particolare tipo di olive della zona: la Minuta.  Loro usano una spremitura delle olive a freddo e da uno dei passaggi di spremitura si ottiene un disco di pasta di sansa, ovvero lo scarto della spremitura. Questa viene pressata su dei dischi di iuta che imprimono i solchi sulla pasta ancora morbida. Per le mie opere ho utilizzato poi questi dischi dove sono intervenuta ricalcando con la pittura i solchi e la forma stessa del disco.

Insieme ad altri quattro artisti e una curatrice hai aperto uno spazio espositivo a Palermo, qual è la vostra mission?

Abbiamo aperto Parentesi Tonde quando tutti eravamo neolaureati in accademia o all’università e tutti provavamo un vuoto cosmico, quella terribile sensazione che ti viene il giorno dopo la laurea, io ricordo il vuoto di quel momento, che ti prende soprattutto se fai una determinata tipologia di studi. Io mi ero laureata in pittura, gli altri ragazzi avevano fatto percorsi in fotografia e grafica, la curatrice si era appena laureata in Storia dell’Arte e in quel momento di totale sconforto ci siamo detti di dover fare qualcosa. Questo ha rappresentato sia una sfida che un punto di ancoraggio perché in quel momento di totale sconforto ci ha dato la possibilità di restare a Palermo ma soprattutto la possibilità di stare con gli artisti. Noi organizziamo mostre ed eventi, invitiamo gli artisti e gli diamo la possibilità di esporre, alcuni hanno fatto la loro prima personale da noi.

E l’accoglienza della comunità al vostro progetto?

La comunità locale non comprende del tutto, lo spazio espositivo si trova in un’area a metà tra Via Maqueda e il Mercato del Capo, c’è una mescolanza di turismo e persone locali che però non capiscono. Alcuni dei nostri vicini sbirciano ogni tanto ma non riescono a comprendere fino in fondo perché spesso mancano i mezzi per tradurre questo tipo di linguaggio.

Cosa vuol dire essere un’artista oggi? E quali sono le sfide che bisogna affrontare?

Essere un’artista vuol dire andare a indagare l’odierno, avere un ruolo, fare il ricercatore. Le sfide vanno da argomenti molto banali e quotidiane ad altre molto più introspettive che riguardano te stesso e la tua produzione, la tua pratica. Te stesso e quello che fai vedere.

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