Etna, spettacolo e follia: quando la curiosità diventa azzardo
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Etna, spettacolo e follia: quando la curiosità diventa azzardo

Dai crateri sommitali agli ingorghi a Piano Vetore, un caos prevedibile e già visto, ma i nuovi negligenti avventurieri hanno memoria corta per le passate tragedie.

Etna, spettacolo e follia: quando la curiosità diventa azzardo
Turisti sull' Etna
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20 Febbraio 2025 - 20.53 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Un sottile filo  sembra legare il fascino al disastro, la curiosità e la follia. È quel filo che, ancora una volta, è stato tirato oltre il limite sulle pendici dell’Etna, dove un migliaio di persone si è accalcato per assistere al fenomeno dell’eruzione, trasformando un evento naturale in una corsa sconsiderata verso il pericolo.

Macchine posteggiate senza criterio lungo le strette strade, vie di fuga e di emergenza bloccate, con la Protezione Civile costretta a richiamare volontari da quattro comuni per gestire un caos che non dovrebbe essere ma soprattutto mai ripetersi; eppure, ancora ed ancora accade, sempre uguale come un “Uroboro”, in un ciclo infinito uguale a sé stesso. Come a Roccaraso, come sulle piste dell’Abruzzo innevato invaso da pseudo-esploratori senza coscienza, armati di smartphone e di una scellerata voglia di “esserci” là dove la natura detta regole che non conoscono hashtag né dirette social.

Un vulcano non è mai un parco giochi, e l’Etna non è un’eccezione, eppure il richiamo della lava che scorre lenta lungo la pista Altomontana sembra esercitare un’attrazione irresistibile per chi si improvvisa geologo da weekend. La bocca eruttiva ha superato quota 1.900 metri, la colata avanza con ritmo inesorabile, la neve si scioglie al contatto con il magma causando pericolose esplosioni, ma questo fenomeno geofisico richiama a raccolta non solo appassionati esperti e guide autorizzate, ma anche un esercito di turisti improvvisati, mal equipaggiati, privi della minima percezione del rischio. Ed è qui che si consuma l’assurdità, perché è nella supponenza di chi crede che l’esperienza del vulcano sia un’attrazione priva di conseguenze, come uno spettacolo pirotecnico visto dalla spiaggia d’agosto che l’eterna falce è pronta a mietere nel sangue.

L’allarme lanciato da Salvo Cocina, capo della Protezione Civile regionale, è da subito chiaro: “Un afflusso costante, parcheggi selvaggi ai margini delle stradine, il blocco della circolazione a Piano Vetore e l’impossibilità di passaggio dei mezzi di soccorso”. Sono parole che pesano molto ma che sembrano scivolare sulla coscienza di molti con la leggerezza della cenere dispersa dal vento. Si ripete il copione già visto sulle nevi di Roccaraso, quando l’arrivo improvviso di una nevicata attirò migliaia di persone, generando un caos viabilistico che paralizzò i soccorsi e mise in pericolo non solo chi si avventurava senza attrezzatura, ma anche chi, per mestiere e senso del dovere, cercava di evitare la tragedia.

La montagna di fuoco ha una memoria lunga, anche quando quella degli uomini si rivela cortissima. Era il 1979 quando un’esplosione improvvisa sorprese un gruppo di turisti in visita ai crateri sommitali. Nove morti, ventitré feriti. Anni dopo, nel 1987, un giovane escursionista precipitò nel vuoto a Monte Zoccolaro, mentre il profilo minaccioso della Valle del Nove si macchiava del dramma dell’avvocato Malerba, sprofondato oltre il costone della Serra del Salifizio. Storie di imprudenza, talvolta di sfortuna, ma sempre segnate dalla presunzione di poter sfidare una montagna che non conosce la pietà della pianura.

E poi il 2017, l’anno dell’esplosione freatica che travolse una troupe della BBC, dimostrando al mondo intero come la neve e la lava, insieme, possano dar vita a una reazione capace di scagliare rocce e vapore con la violenza di un ordigno bellico. Feriti, panico, soccorritori impegnati in un’operazione resa ancora più difficile dalle stesse dinamiche viste in questi giorni sull’Etna; e sempre l’afflusso incontrollato, mancanza di disciplina, incapacità di comprendere il pericolo.

In questi giorni, le pendici del vulcano offrono uno spettacolo unico, un contrasto quasi surreale tra la neve bianca e la lava rossa che scorre come una vena incandescente dal cuore della terra, ma non è uno scenario per avventurieri improvvisati perché, quando il magma incontra il ghiaccio, il rischio di esplosioni violente aumenta esponenzialmente. Lo sanno bene i vulcanologi, lo sanno le guide autorizzate che, con esperienza e prudenza, accompagnano i turisti lungo percorsi sicuri, ma non lo capiscono, evidentemente, coloro che arrivano in massa con scarpe da ginnastica e giacche leggere, ignorando di tutto, dalle ordinanze comunali, al buon senso.

La Protezione Civile ha chiesto rinforzi, i sindaci hanno promesso controlli più rigorosi, il Parco dell’Etna è chiamato a collaborare per gestire la fruizione turistica di un luogo che, per sua natura, non è mai davvero “sicuro”. Ma la responsabilità non si può scaricare interamente su istituzioni e volontari. L’Etna non è un palcoscenico e la lava che si riversa lungo i pendii non è uno sfondo esotico per una foto da postare online. È un monito vivente della forza impetuosa della natura e dell’impotenza dell’uomo di fronte ad essa e che i nostri avi vedevano come la forgia da cui nascevano i fulmini di Zeus.

Ma l’Etna, intrisa della stoltezza del mondo, continuerà a mietere vite come un cavaliere dell’apocalisse, perché pur se lo spettacolo è affascinante, questa montagna rimane anche una trappola mortale per l’incoscienza umana.

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