A giochi e gare i greci hanno aggiunto qualcosa di fondamentale: un contesto sacro e una regolarità
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A giochi e gare i greci hanno aggiunto qualcosa di fondamentale: un contesto sacro e una regolarità

In Grecia infatti avevano luogo, con cadenza regolare, non solo i celebri giochi olimpici, ma anche quelli Pitici, dedicati ad Apollo, i giochi Nemei dedicati a Zeus e quelli Istmici, dedicati a Poseidone

A giochi e gare i greci hanno aggiunto qualcosa di fondamentale: un contesto sacro e una regolarità
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Maurizio Bettini Modifica articolo

3 Dicembre 2024 - 16.43 Culture


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In vista dell’ evento “Lo spirito olimpico. Il mondo in gioco: quando Nike era una dea” che si terrà domani, giorno 4 alle ore 17, e che ospiterà il campione olimpico Gregorio Paltrinieri, il Professor Maurizio Bettini anticipa con questo suo articolo scritto per i lettori di Culture globalist  i temi che tratterà durante l’ evento.

I Greci hanno davvero inventato lo sport? La risposta a questa domanda è no e sì nello stesso tempo. No, perché giochi e gare si praticavano anche nell’Egitto dei Faraoni, in Mesopotamia, fra le antiche popolazioni americane e così via; sì, perché a giochi e gare i Greci hanno aggiunto qualcosa di fondamentale: un contesto sacro e una assoluta regolarità. In Grecia infatti avevano luogo, con cadenza regolare, non solo i celebri giochi olimpici, che ogni quattro anni si svolgevano a Olimpia ed erano dedicati a Zeus, ma anche quelli Pitici, che si svolgevano a Delfi ed erano dedicati ad Apollo, i giochi Nemei, che si svolgevano a Nemea ed erano dedicati ancora a Zeus, e i giochi Istmici, che si svolgevano a Corinto ed erano dedicati a Poseidone.

Ogni anno insomma c’era almeno un incontro sportivo (in un solo anno due) e ogni volta questi giochi erano avvolti da una grande solennità, costituivano un evento cittadino e si svolgevano nel contesto di magnifiche feste religiose. Il pubblico affluiva da tutta la Grecia. Chi partecipava a questi giochi? Non a caso erano detti “panellenici”, cioè “di tutta la Grecia”, perché in essi si misuravano atleti provenienti dalla Grecia e da tutte le colonie greche sparse sulle coste del mediterraneo. Taranto, Sibari, Crotone e così via. Solo dalla Grecia, però, non da nazioni straniere.

Si trattava dunque di una forma di razzismo? Fino a un certo punto, perché anche nel mondo moderno ai campionati Europei possono gareggiare solo atleti provenienti dall’Europa, non dall’America o dall’Africa; così come ai campionati italiani solo cittadini italiani possono correre i cento metri o compiere il salto con l’asta. Fanno eccezione le nostre moderne Olimpiadi, la cui straordinarietà è rappresentata anche e soprattutto dal loro carattere internazionale. Se vogliamo parlare però di scarsa integrazione e razzismo, per quanto riguarda i giochi dell’antica Grecia, teniamo conto del fatto che ad essi potevano partecipare solo cittadini, maschi, adulti e liberi, ossia schiavi, donne e persone che non avevano piena cittadinanza erano esclusi.

Da allora abbiamo fatto un po’ di strada, inutile dirlo. Inoltre, dato che per partecipare alle Olimpiadi occorreva un certo equipaggiamento e, specie se si veniva da lontano, bisognava spendere molto per il viaggio, ai giochi finivano per partecipare solo i benestanti. Che era una forma di discriminazione non da poco. De Coubertin esaltava molto il fatto che agli antichi giochi olimpici partecipavano solo dilettanti, non professionisti. Una caratteristica che ritenne fondamentale riprodurre anche nelle ‘sue’ Olimpiadi. In fondo però si sbagliava, gli atleti erano dilettanti, sì, ma appartenevano pur sempre a una classe privilegiata. E avevano dietro di loro mecenati e sponsor che li sostenevano.

Un’altra caratteristica, questa però interessante, in particolare dei giochi Olimpici, era quella che i Greci chiamavano ekecheirìa, ovvero, letteralmente, “giù le mani, trattieni le mani”. Nel senso che, nel periodo dei giochi, atleti e pubblico erano sotto una speciale protezione, nessuno poteva far loro del male, ed essi erano protetti anche durante il viaggio di ritorno in patria. Questo non voleva dire che, come spesso si sente ripetere, e come De Coubertin sognava, durante le Olimpiadi non si facevano guerre. Purtroppo si continuava a farle eccome. Però il territorio di Olimpia era sacro, così come in certo senso lo erano coloro che a vario titolo partecipavano o avevano partecipato ai giochi.

Ma come venivano divulgati i risultati dei giochi, e soprattutto i nomi dei vincitori nelle varie specialità? Si sa, in particolare nelle città di origine degli atleti, e in tutta la Grecia c’era una grande curiosità per conoscere i nomi degli “eroi” che avevano trionfato nelle singole gare. Insomma, alle Olimpiadi c’erano i giornalisti e gli operatori dei media? Ovviamente no, ma – senza offesa – c’era di meglio. C’erano i poeti, che componevano inni in onore dei vincitori, delle città da cui provenivano, dei loro mecenati e protettori, attingendo alle risorse del mito, oltre che a quelle della poesia. C’erano insomma Pindaro, Simonide, Bacchilide, ma Pindaro era il più celebre e il più conteso fra tutti i poeti che componevano “epinici”: ossia canti di vittoria.

Le sue composizioni, cantate in coro e accompagnate da strumenti musicali, erano così celebri che furono trascritte e tramandate, per cui ancora oggi possiamo leggerle. Diciamo la verità, c’è una bella differenza fra le odi di Pindaro e le moderne cronache televisive. Sia detto sempre senza offesa. E poi c’erano gli scultori. Nelle città di origine, ai vincitori nelle gare venivano dedicate splendide statue, in bronzo, allo stesso titolo in cui si dedicavano statue e immagini agli dèi o agli eroi. Tanto per capire quale importanza veniva attribuita ai grande atleti nel mondo antico.

I Greci però, e questo è bene ricordarselo, non erano appassionati solo di sport. Erano agonistici, amavano la gara in generale, per cui, come le gare sportive, esistevano anche agoni, cioè gare di filosofia, di poesia, di eloquenza, gare giuridiche, gare musicali, e così via. Insomma i Greci amavano gareggiare, questa è la loro caratteristica essenziale. Certo lo sport, la palestra, era al centro della loro attenzione, ma non dimentichiamo che la palestra era anche un luogo culturale, in cui ci si allenava ma anche si parlava, si discuteva, si faceva cultura. Il fatto è che se uno si mette a contare le differenze fra noi e i Greci, in materia di gare sportive, non si finirebbe mai.

Per esempio, potete immaginare il fatto che gli atleti gareggiavano completamente nudi? Cosa che scandalizzava i Romani, i quali erano molto pudichi. Ai giochi in onore di Era, gli unici riservati alle donne, le atlete gareggiavano invece sempre vestite. A Sparta però anche le ragazze gareggiavano nude, assieme ai ragazzi. Ma si sa, gli spartani erano sempre un po’ diversi dagli altri.

Quali specialità si praticavano alle olimpiadi greche? Lo stadion, ossi la corsa di circa duecento metri, il doppio stadion, il pentathlon – salto in lungo, lancio del giavellotto, lancio del disco, corsa, lotta – poi il pugilato, il pancrazio, ossia un misto di lotta e pugilato, il lancio del disco da solo, il lancio del giavellotto, la lotta, la corsa dei carri, molto seguita e appassionante. E il nuoto? C’erano le gare di nuoto alle antiche Olimpiadi? Eh no, purtroppo a Olimpia il nostro Paltrinieri non avrebbe avuto modo di esercitare il suo straordinario talento agonistico.

Non c’erano piscine, a Olimpia. Forse che i Greci non sapevano nuotare? Questa è una diceria che ho sentito ripetere spesso, cioè che gli antichi non praticavano il nuoto. Non è affatto vero, Greci e Romani nuotavano anche loro. Per i giovani greci il tuffo, la nuotata, era anzi una sorta di rito di passaggio, un modo per entrare dall’adolescenza nell’età adulta. C’è persino un proverbio che ci testimonia quanto i Greci prendevano sul serio il nuoto, pur se non era considerato una specialità agonistica. Quando volevano parlare di un buono a nulla, di un fannullone, dicevano: “non sa né scrivere né nuotare”. Non c’è dubbio che il nostro grande Paltrinieri avrebbe brillantemente superato l’antico esame.

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