L'immunologo Mantovani: "Contro il Covid-19 stiamo facendo medicina di guerra"
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L'immunologo Mantovani: "Contro il Covid-19 stiamo facendo medicina di guerra"

Parla il direttore scientifico dell'Istituto Humanitas: "Vengono usati strumenti terapeutici diversi, pur senza avere evidenza chiara del loro funzionamento, con l'obiettivo di aiutare un paziente".

L'immunologo Alberto Mantovani
L'immunologo Alberto Mantovani
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25 Marzo 2020 - 11.02


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Proprio una guerra, contro un nemico invisibile.

 “In questo momento si sta facendo medicina di guerra: nell’emergenza vengono usati strumenti terapeutici diversi, pur senza avere evidenza chiara del loro funzionamento, con l’obiettivo di aiutare un paziente”.

Quanto al vaccino, “oggi sono in corso una ventina di studi, tra cui uno a Pomezia, dove già hanno sperimentato con successo il vaccino contro Ebola. In modo realistico, ci vorranno almeno 18 mesi prima di avere un vaccino. Che poi dovrà essere prodotto non in milioni, ma miliardi di dosi”.

Lo ha detto l’immunologo Alberto Mantovani, lo scienziato italiano più citato al mondo, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University, in un’intervista a ‘Repubblica’.

“Il caso degli antivirali, quale è l’Avigan – spiega – è proprio questo. Non è l’unico: ci sono altri due anti-retrovirali, la combinazione anti-Hiv Lopinavir/Ritonavir, che è stata utilizzata in Cina per curare il Covid-19. Uno studio appena pubblicato sul New England of Journal of Medicine ha però dimostrato che nei pazienti con uno stadio avanzato della malattia non sono utili. A dimostrazione che stiamo combattendo una guerra, ma che si deve coniugare la medicina di emergenza con il rigore della sperimentazione clinica, come anche enfatizzato in un report in via di finalizzazione della Commissione Salute dell’Accademia dei Lincei”.

Sul fronte dei tamponi, Mantovani evidenzia: “Nell’ultimo mese ci siamo trovati al centro di uno tsunami. Senza la capacità tecnologica, la disponibilità di reagenti e abbastanza laboratori validati per una mole di analisi così ampia. L’analisi di un tampone è un procedimento complesso, che richiede circa 4 ore ma fotografa solo un istante, tanto che deve essere ripetuto più di una volta. I falsi negativi sono tanti, questi tipi di test hanno dei limiti. Non a caso si stanno conducendo varie sperimentazioni per trovare nuovi metodi, come quello dell’azienda DiaSorin, che ha sperimentato un test, appena approvato dalla Fda statunitense, che consente di avere il risultato in un’ora. Detto ciò, pur con tutti questi limiti, credo che sia importante garantire agli operatori la possibilità di fare i tamponi: sono la nostra prima linea, vanno sostenuti. Se essere sottoposti al tampone rende medici e infermieri più tranquilli nell’affrontare il loro lavoro, vista anche la loro preoccupazione di essere contagiati e infettare i loro cari, è giusto che possano farlo in via prioritaria. Ma si deve pensare anche alle piccole cose: gli operatori stremati da un turno di lavoro lunghissimo devono poter fare la spesa rapidamente, è un modo per aiutarli. Vedo e sento che anche così si sta esprimendo la solidarietà di tutti”.

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