Esattamente 25 anni fa, il 24 aprile del 1990, l’Hubble Space Telescope (HST) partì da Cape Canaveral a bordo dello Shuttle Discovery. Venticinque anni di emozioni intense, di risultati scientifici che hanno rivoluzionato la nostra conoscenza dell’universo vicino e lontano, ma anche la sua percezione, più di quanto sia riuscito a fare nessun altro, satellite, telescopio o genio della scienza. Hubble ci ha permesso di vedere tutto quello che volevamo e molto di più di quel che potevamo immaginare, dal sito lunare dell’atterraggio degli astronauti dell’Apollo 17, alle tempeste su Giove, alla scoperta di nuovi satelliti e dei pianeti extra-solari, alle stelle appena nate e appena morte, alle galassie vicine o lontanissime, ai confini dell’universo e del tempo.
Nei quattro giorni del convegno organizzato a Baltimora dallo Space Telescope Science Institute per celebrare il venticinquesimo anniversario del lancio di HST e per illustrare quanto questo meraviglioso telescopio può ancora regalarci negli anni a venire, gli scienziati hanno illustrato le sue principali scoperte scientifiche, da quelle fatte finora a quelle in programma per il futuro. Abbiamo rivisto le immagini dell’impatto di una cometa e di un meteorite su Giove, abbiamo rivisto le prime evidenze di un pianeta extra-solare che transitava davanti alla sua stella, le caratteristiche chimico-fisiche delle atmosfere di pianeti e satelliti del sistema solare e di altri sistemi planetari. Abbiamo visto quanto Hubble puo’ ancora insegnarci su come si formano e evolvono le stelle e le galassie. Abbiamo sentito due degli astronomi che hanno ricevuto il Nobel per la Fisica grazie alle osservazioni HST (integrate anche da spettroscopia da terra) di supernove di tipo Ia che hanno fornito un’evidenza ormai incontestabile dell’accelerazione dell’universo. E abbiamo visto le nuove, sempre clamorose, immagini dei campi iper-profondi dove miriadi di galassie di tutte le forme, dimensioni, eta’ e distanze riempiono uno spazio che a un altro telescopio sembrerebbe vuoto.
Noi Italiani (sia quelli che lavoriamo in Italia, nell’INAF o nelle Università, che quelli che lavorano in istituzioni all’estero) abbiamo dato un contributo di primo piano alle scoperte di Hubble, soprattutto nello studio delle regioni di formazione stellare, delle popolazioni stellari risolte, dell’evoluzione delle galassie vicine e lontane, nello sfruttamento delle lenti gravitazionali.
La scienza deve moltissimo a Hubble, direi quanto a Galileo; ma il successo mediatico di questo satellite va perfino oltre i suoi eccezionali meriti scientifici e credo che sia legato all’impatto psicologico che ha avuto su tantissima gente. Fatti non “fummo” a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza e Hubble è diventato presto il modo per conoscere meglio l’universo senza quasi alzarci dalla poltrona di casa, non solo per gli astronomi, ma per persone che nella vita si occupano di tutt’altro. Per tantissima gente Hubble è l’epopea dei pionieri senza i rischi del Far West, le caravelle di Colombo senza rischio di naufragio, la nave di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole senza destini avversi.
Tutti insieme appassionatamente abbiamo seguito, ora con ansia, ora con entusiasmo, le sue vicende e le sue vicissitudini, dalle tragedie degli Shuttle (prima il Challenger nel 1986 e poi il Columbia nel 2003), che ne hanno ritardato il lancio e l’ultima missione di manutenzione, al trionfo dell’ultima Servicing Mission 4, nel maggio 2009, quando eravamo incollati alla diretta streaming e ci sembrava di essere lì insieme all’astronauta John Grunsfeld a tirare quel maledetto portello che non voleva venir via (e dunque tutti ci siamo sentiti vincitori quando John ha levato tutto quello che andava levato e inserito come previsto tutti i nuovi strumenti).
Tutti insieme appassionatamente intorno al globo: HST è “nostro” chiunque siamo e ovunque siamo… Quando la NASA mise a terra tutti gli Shuttle dopo il disastro del Columbia, cancellando così la Servicing Mission 4, la reazione in tutto il mondo fu di disperazione: appelli e petizioni partirono da ogni Paese, dalle Società Astronomiche ma anche da singoli cittadini. Ricordo un Americano che scrisse che, con il lavoro frustrante che faceva, se non avesse più avuto la sua nuova immagine di HST da vedere ogni giorno a colazione non avrebbe saputo come andare avanti. Gli astronauti scrissero semplicemente che la loro professione implica inevitabilmente rischi letali, ma che se dovevano morire per qualcosa, preferivano morire per Hubble che per altro.
Venticinque anni di sfide continue e successi clamorosi. HST, come noi umani, non è nato perfetto, ma è la miglior metafora del sogno americano che si potesse produrre: anche se nasci brutto anatroccolo, l’ingegno umano e la dedizione di chi ti ha a cuore possono farti diventare il più bel cigno del mondo. L’imperfezione iniziale, combinata con il lavoro geniale e tutto umano di chi ha capito come correggere l’imperfezione, i cedimenti strumentali legati all’invecchiamento e le intuizioni su come aggirarli ce lo hanno reso anno dopo anno più caro.
Ora la NASA pensa di poter tenere Hubble operativo almeno fino al 2020, in modo da avere un paio di anni o più con sia lui che il James Webb Space Telescope attivi contemporaneamente, una sinergia importantissima perché HST e JWST guardano a lunghezze d’onda diverse e con strumenti diversi. Noi Europei contiamo che l’ESA continui a partecipare fino in fondo a questa impresa meravigliosa. Noi Italiani speriamo che l’ASI se ne renda conto e faccia votare a favore anche il rappresentante italiano.
Buon Compleanno Hubble e 100 di questi giorni !!!
GRAZIE a te e a quanti ti hanno creato e reso quello che sei dedicandoti la loro vita.
*Vicepresidente Istituto Nazionale di Astrofisica