"Trump-putinismo", aveva ragione Chomsky: siamo come le rane bollite
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"Trump-putinismo", aveva ragione Chomsky: siamo come le rane bollite

Il trumputinismo vuol rovesciare il mondo dei diritti conquistati a partire dal secondo dopoguerra e stabilire per sempre la legge del più forte, di chi vuol metter pace solo per creare la “riviera di Gaza” e spartire le risorse minerarie dell’Ucraina

"Trump-putinismo", aveva ragione Chomsky: siamo come le rane bollite
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Michele Cecere Modifica articolo

1 Marzo 2025 - 19.14


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Diversi anni fa, il filosofo Noam Chomsky, ispirandosi ad un vecchio esperimento effettuato in un’università americana nel 1882,  coniò il principio della rana bollita,  per descrivere come i popoli finiscano per abituarsi al degrado e alle discriminazioni, finendo con l’essere incapaci di cambiare la loro condizione, pur se ormai divenuta terribile.

La “storiella” faceva più o meno così: “Immaginate una pentola piena d’acqua fredda, in cui nuota serenamente una rana. Quando si accende il fuoco sotto la pentola, l’acqua comincia a riscaldarsi lentamente, finchè diventa tiepida. La rana trova gradevole la situazione e continua a nuotare. Ma la temperatura continua a salire, la rana comincia a sudare, si stanca un po’, ma non si spaventa. Quando l’acqua diventa molto  calda, la rana non gradisce più, ma si è indebolita e non ha la forza di reagire, sopporta e non fa nulla. La temperatura sale ancora, finchè la rana muore bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°, sarebbe probabilmente saltata subito fuori dalla pentola.

In questo 2025, ho l’impressione che siamo davvero tanto cotti da rimanere impassibili e incapaci di indignarci di fronte alle clamorose falsità e follie del “trumputinismo”, il pensiero globale che unisce gli oligarchi russi al turbo capitalismo americano dei Musk, Bezos e Zuckerberg.  Il trumputinismo vuol rovesciare il mondo dei diritti conquistati a partire dal secondo dopoguerra e stabilire per sempre la legge del più forte, di chi vuol metter pace solo per creare la “riviera di Gaza” e spartire le risorse minerarie dell’Ucraina.  Il trumputinismo si prefigge di reinterpretare il vecchio progetto di “nuovo ordine mondiale” sostenuto dal presidente USA George Bush nel 1990, creando un disordine generale atto a smantellare le grandi organizzazioni mondiali,  esclusa l’ONU, dove sia Russia che USA sono fra i 5 paesi muniti di potere di veto. Siamo davvero cotti se non ci rendiamo conto della nostra pentola, colma di uno pseudo benessere fatto di auto Tesla,  pacchi di Amazon e post su Facebook e X,  mentre l’intelligenza artificiale continua a impadronirsi lentamente delle nostre menti e a cancellare posti di lavoro. Dovremmo saltare fuori da quella pentola e unirci in un grande sciopero mondiale, dovremmo fermarci ovunque per almeno un’ora,  per guardarci in faccia, riflettere e cominciare a costruire le basi di una società più giusta e non discriminatoria, dove la ricchezza non continui a concentrarsi nelle mani di pochi e le risorse siano più equamente distribuite. Perché oggi sembra lontanissimo il tempo in cui ci si incontrava in tanti in piazza per manifestare solidarietà verso chi soffriva a diverse migliaia di chilometri da noi. Quella solidarietà sembra divenuta utopia, tanto che una parola molto in voga oggi è distopia, visto che sembrano profilarsi i contorni di una società sempre più ingiusta, illiberale e spaventosa. Lo dimostrano le facce e le parole dei “graziati” di Trump, gli assalitori di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, pronti a rientrare in azione come squadracce fasciste di antica memoria, facce che rappresentano degnamente i  valori distopici dell’America trumpiana.

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Quando Trump ha stravinto nel novembre 2024, ho pensato a quel 1994, quando l’Italia si affidava al magnate Berlusconi e l’America “clintoniana” ci definiva un “paese di polli”, perché trovava assurdo affidare la guida politica ad un uomo di forte potere economico, nonché proprietario di tre reti televisive e di un grande giornale. Mi chiedo che fine ha fatto l’antico “sogno americano”, quello capace di attrarre in quella terra fin dall’800 milioni di persone da ogni angolo del pianeta, tantissimi anche dal nostro Paese. Oggi quel sogno si trasforma in incubo, soprattutto per le tante persone già espulse e per le tantissime minacciate di espulsione.

Tornando all’Italia “meloniana” che vuole espellere in Albania i migranti, mi torna in mente ciò che avvenne fra il ‘400 e il ‘500, quando  decine di migliaia di albanesi, sconfitti dall’avanzata dei Turchi, si erano rifugiati nell’Italia meridionale, ripopolando vaste zone, in particolare della Lucania. Tre anni fa, quando i russi invadevano l’Ucraina e sembrava che milioni di ucraini dovessero riversarsi nel nostro Paese, ho pensato a quel che era accaduto cinque secoli fa. E ho immaginato persino una “Lucrania”, una Basilicata ripopolata dagli ucraini, per far fronte ad un inverno demografico che in molte zone del sud, ma anche nei territori interni del centro-nord, rischia di cancellare nei prossimi anni centinaia di piccoli borghi.

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Centri come San Paolo Albanese e San Costantino Albanese, creati nella prima metà del XVI secolo proprio per accogliere le colonie albanesi, sono l’esempio più evidente dell’inverno demografico lucano. Oggi a San Paolo Albanese, il più piccolo comune di questa regione, vivono appena 210 persone, mentre nella vicina San Costantino Albanese ne sono rimaste 580. Immersi nei magici panorami del Parco del Pollino, questi paesini, sorti 5 secoli fa grazie all’immigrazione albanese, oggi rischiano di scomparire, ci vivevano oltre tremila persone ai tempi del primo censimento del 1861. Come tanti altri, questi borghi si salveranno solo con una nuova immigrazione, facciamocene una ragione, ma soprattutto facciamolo capire all’attuale governo, capace solo di chiudere le frontiere, mentre abbiamo un disperato bisogno di uomini, donne e bambini per far rivivere queste terre.

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