Ciani: "La liberazione di Almasri aumenterà le violazioni dei diritti umani, il governo si assuma la responsabilità"
Top

Ciani: "La liberazione di Almasri aumenterà le violazioni dei diritti umani, il governo si assuma la responsabilità"

Di questi temi ne parla Paolo Ciani, Segretario Demos e vicecapogruppo PD alla Camera dei Deputati.

Ciani: "La liberazione di Almasri aumenterà le violazioni dei diritti umani, il governo si assuma la responsabilità"
Preroll

globalist Modifica articolo

31 Gennaio 2025 - 14.57


ATF

di Antonio Salvati

L’aggravamento dei conflitti a livello globale e il loro avvicinarsi allo scenario nazionale, nonché la diretta percezione della loro incidenza sulla nostra vita quotidiana e sulle prospettive future, rappresentano una novità di cui ancora non abbiamo preso completamente coscienza. La Storia degli ultimi trent’anni ci ha chiaramente mostrato come la società e l’economia possono mutare molto rapidamente e in direzioni che non ci si aspetterebbe. Chi si aspettava che dopo due anni di pandemia in cui abbiamo limitato (e in alcuni casi rinunciato) la mobilità personale per salvare vite umane, recessione, grandi piani di ripresa e crescita come non la si vedeva da decenni di stagnazione, che scoppiasse una guerra tra gli eserciti regolari di due paesi sovrani – solitamente eravamo abituati esclusivamente a combattimenti tra eserciti internazionali e miliziani irregolari – a cui dobbiamo aggiungere gli alleati che inviano tonnellate di armamenti e che  solo quando le cose vanno male invocano la via della diplomazia per concludere le ostilità? 

La pace sembra quasi scomparsa dall’orizzonte del futuro, in Europa come in Medio Oriente. Tuttavia, alcuni non hanno intenzione di rassegnarsi e desiderano testimoniare cos’è il male, con la speranza in un’umanità migliore. Infatti, questo nostro tempo – come ha scritto Mario Giro – è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”, per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita». Nel ’65 a vent’anni dalla guerra mondiale, Papa Paolo VI interpretando la coscienza di una generazione, parlò all’assemblea dell’ONU e disse: «Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra!» Lo disse in quella che era ancora la lingua diplomatica dell’epoca: Jamais plus la guerre. Memoria è mai più; memoria e mai più. È un binomio decisivo. La memoria, spiega Andrea Riccardi, è un processo complesso. E quanto difficile fosse la memoria era il rovello di Primo Levi, che ne conosceva la labilità tanto da scrivere in Sommersi e Salvati: «i ricordi che giacciono in noi non sono incisi nella pietra». Gli appelli del Papa per la pace – osserva Riccardi – non sono un generoso intervento di un cristiano sensibile al dolore del mondo e al futuro buio cui si avvia l’umanità: «sgorga dal profondo della vita del popolo di Dio e dalle fibre della Chiesa. La Chiesa non si fa tacitare né dalla persecuzione (e il Papa accenna ad alcune situazioni), né dall’arroganza dei poteri della comunicazione, e da quelli politico-militari. Lo vediamo sulla questione dei migranti e rifugiati».

Di questi temi ne abbiamo parlato con l’On. Paolo Ciani, Segretario Demos e vicecapogruppo PD alla Camera dei Deputati.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento delle spese militari in Europa, anche in risposta ai conflitti internazionali. Che pensa di questa corsa al riarmo?

La corsa al riarmo in Europa è un fenomeno preoccupante. A partire dalla guerra in Ucraina abbiamo assistito ad un’escalation bellica inquietante, dove Paesi la cui posizione storica sul riarmo è sempre stata solidamente contraria, come la Germania, è cambiata. Il fatto che nei primi giorni dell’invasione il governo tedesco abbia stanziato 100 miliardi per il riarmo (in un Paese che ha in forte ascesa un partito neonazista come AFD) desta molta preoccupazione. L’attuale contesto geopolitico inevitabilmente ha imposto una nuova riflessione sulla sicurezza globale; eppure, sembra che l’unico esito di questa riflessione debba essere un riarmo generalizzato. La stessa Kallas, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza comune dell’UE, ha affermato che è necessario investire di più per prepararci alla guerra. Affermazione con cui mi trovo in disaccordo: l’aumento delle spese in armamenti rischia di farci dimenticare che la vera sicurezza non si costruisce con le armi o i carri armati, ma con la cooperazione, la diplomazia, il dialogo. Abbandonare l’idea del multilateralismo e indebolire le grandi organizzazioni che storicamente ne sono autrici è una scelta miope che testimonia il grande problema del nostro secolo: l’idea che le persone, così come gli Stati e i governi, possano farcela da sole. In un mondo interdipendente e collegato come il nostro è controproducente pensare che le grandi sfide globali come i conflitti diffusi e spesso dimenticati o come le conseguenze del cambiamento climatico a cui assistiamo inermi possano essere risolte in solitaria: nessuno si salva da solo.

Parlando di benessere sociale, la legge di bilancio per il 2025 destina una quota significativa alla spesa militare. Come giudica questa scelta?

Con la nuova legge di bilancio il Governo ha fatto una scelta sbagliata e miope, non a sostegno dei cittadini. Una finanziaria definita di ‘galleggiamento’ che però non ha fatto altro che tagliare risorse senza incrementi, e aumentare la spesa militare. Parliamo di 3,5 miliardi in un anno e in prospettiva, per i prossimi 10 anni, di oltre 30 miliardi. Si tratta di cifre considerevoli che evidenziano due cose: soldi che potevano essere spesi altrove e in altro modo, ad esempio in spesa sociale; e in secondo luogo, una volontà politica chiara del Governo, cioè prediligere un’economia di guerra ad un’economia di Pace. Questa legge di bilancio è l’ennesima dimostrazione di un Governo che ha deciso di rovesciare le priorità del Paese. All’aumento significativo della spesa militare vediamo parallelamente il declino del sistema sanitario nazionale che fatica sempre di più a galleggiare, per usare un termine caro a chi ci governa. Di fronte agli ospedali sottorganico e la privatizzazione della sanità che avanza e a sempre più persone che non possono permettersi di curarsi, parliamo di oltre 3 milioni di Italiani che rinunciano alle cure, come possiamo non domandarci se questi soldi potevano essere spesi in altro modo? La pandemia avrebbe dovuto insegnarci che la solidità di uno Stato risiede anche in un sistema sanitario robusto che riesce a garantire l’accesso alle cure ai propri cittadini; sicuramente non risiede nei missili o nei caccia. Ma, del resto, parliamo dello stesso Governo che ha speso oltre 800milioni per i centri costruiti in Albania per trattenere i migranti e sceglie di non finanziare la legge 33, approvata da un anno, per il sostegno agli anziani in condizione di fragilità e non autosufficienza. Nel contesto attuale l’idea che tante delle risorse disponibili siano state destinate alle armi testimonia priorità sbagliate a fronte di esigenze ben diverse. 

In molti però sottolineano che gli impegni della Nato e il mutato scenario internazionale obblighino l’Italia ad aumentare le spese militari…

È vero che il Paese, come membro della Nato ha preso impegni di spesa e come paese membro dell’UE ci sono scelte concordate, ma questa cosa convince fino ad un certo punto. Se è vero che si vuole perseguire la creazione dell’esercito comune europeo, allora perché continuare a finanziare gli eserciti nazionali, come fanno tutti gli Stati, Italia compresa? Siamo di fronte a un bivio: continuare a riversare risorse nel riarmo, inseguendo una logica di contrapposizione, oppure lavorare per costruire un’Europa che sia davvero un baluardo di pace e solidarietà. Dall’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo visto un’Italia e un’Europa che hanno scelto come unica risposta l’invio delle armi per risolvere il conflitto, tralasciando completamente qualunque forma di investimento nella mediazione e nella diplomazia. Quando è scoppiata la guerra in Siria, in un primo momento tutti ritenevano fosse destinata a durare poco tempo quando invece è durata oltre un decennio, e nel frattempo abbiamo assistito all’utilizzo di armi chimiche, stragi di ogni sorta e violenze atroci. E oggi continuiamo ad assistere ad atrocità simili in troppi luoghi del mondo, a partire da Gaza sino al Sud Sudan e al Congo. Immagini e notizie di violenza a cui ci stiamo abituando, come se fosse normale. Ma non è normale e non lo deve diventare; continuare ad investire nelle armi non fa altro che alimentare l’idea che le guerre e le risposte armate possano rappresentare delle soluzioni ammissibili per risolvere conflitti: la verità è che con le armi le guerre si eternizzano, non si risolvono.

Per cambiare argomento, cosa pensa della recente vicenda Almasri, il torturatore libico su cui pendeva un mandato d’arresto internazionale della Corte Penale dell’Aja?

Quanto accaduto il 19 gennaio a Torino è molto inquietante. Da diverso tempo la Corte Penale attenzionava Almasri, già capo della polizia penitenziaria in Libia e uno dei principali autori del traffico illegale di esseri umani e direttore dei centri di detenzione libici, dove avvengono torture di cui tutti ormai siamo a conoscenza. Visto il personaggio, è di difficile comprensione il motivo del suo rilascio e rapido ritorno in Libia, per giunta tramite un volo di Stato, a bordo di un Falcon battente bandiera italiana, comodamente organizzato.  Ricordo bene quando Papa Francesco ha definito i centri di detenzione in Libia: “i lager del nostro secolo”.

Quei lager sono gestiti da persone, da esseri umani e sembra che Almasri sia uno dei responsabili di tante delle violenze e dei crimini avvenuti all’interno di questi luoghi. La scarcerazione è stata motivata dal Ministro Nordio con un presunto “vizio procedurale”, che ha impedito la convalida dell’arresto, ignorando completamente le prove fornite dalla Corte penale internazionale. Mentre il Ministro della Giustizia dichiarava di essere impegnato in una complessa analisi del caso, l’esito sembrava in realtà già scritto: il Ministero non ha inviato alcuna comunicazione alla Corte d’Appello di Roma per procedere alla convalida dell’arresto, poiché il Ministro Nordio era ancora intento a “valutare le azioni da intraprendere”. Questo comportamento rivela in modo inequivocabile l’impostazione dell’attuale Governo: un’idea secondo cui il potere politico possa collocarsi al di sopra della legge e delle istituzioni giuridiche, arrivando a sfidare apertamente le direttive della Corte penale internazionale e i principi della nostra Costituzione.

Una tendenza che sembra consolidarsi, come dimostrato già con il decreto sui cosiddetti “Paesi sicuri”, concepito unicamente per eludere la normativa europea e legittimare i trattenimenti in Albania, in quel nuovo e inutile monumento al furore ideologico della destra, costato oltre 800 milioni di euro. La liberazione di Almasri non farà che alimentare ulteriormente le sistematiche violazioni dei diritti umani in Libia, con tragiche conseguenze per persone innocenti. In nome delle vittime di tortura, di chi ha perso la vita e per il rispetto della giustizia e del diritto, chiediamo al Governo di assumersi la piena responsabilità delle proprie azioni.

Native

Articoli correlati