Enrico Mattei non fu un santo. È noto che per conseguire i suoi scopi, ma non per arricchimento personale, alcune volte mise la mano al portafoglio e comprò l’aiuto di qualcuno con una modalità che potremmo definire di corruzione.
Sotto la sua guida l’Eni accumulò una ingente quantità di fondi neri con i quali pagare i partiti che Mattei usava disinvoltamente per i suoi scopi.
E tuttavia Mattei, fondatore dell’Eni e in concorrenza con le ‘sette sorelle’ che avevano il dominio mondiale del commercio del petrolio, riuscì a far breccia nel mezzo di multinazionali così potenti perché riconosceva ai paesi produttori di petrolio non il 50% ma addirittura il 75%. Forse nel nome di una feroce concorrenza, ma tuttavia la sua figura è rimasta alla storia come quella di una persona che non cercava solo di sfruttare ma avere un rapporto equo con i paese meno sviluppati dell’epoca.
Oggi, come sappiamo, il nome del nome di Mattei si è abbondantemente fatto uso improprio, nella logica propagandistica e strumentale di presentare l’Italia come un paese ‘benefattore’ che coopera alla pari. E questo, stando alla stantia retorica sovanista, ha grandi benefici nei termini del controllo dei flussi migratori.
Forse è il momento di dire basta. E dare un altro nome al ‘piano Mattei’. Si chiami come si vuole, ma non Mattei.
Il vecchio democristiano ed ex partigiano ‘bianco’, come detto, non fu una mammola. Ma lui non finanziava torturatori, non dava soldi agli autocrati perché ricacciassero indietro i migranti, talora mandandoli a morire di fame e di sete nel deserto. Ma soprattutto non fece mai fuggire criminali di guerra