Giorgia Meloni, gli studenti e la criminalizzazione del dissenso
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Giorgia Meloni, gli studenti e la criminalizzazione del dissenso

Decine di migliaia di studenti hanno manifestato oggi in più di trenta città "per un’istruzione degna, libera e accessibile". Manifestazioni serene. Pochi incidenti e la Meloni criminalizza e fa di tutta l'erba un fascio

Giorgia Meloni, gli studenti e la criminalizzazione del dissenso
Proteste studentesche
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Claudio Visani Modifica articolo

15 Novembre 2024 - 17.58


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Decine di migliaia di studenti hanno manifestato oggi in più di trenta città “per un’istruzione degna, libera e accessibile” e perché, dicono, “vogliamo contare nelle decisioni che influenzano la nostra vita e il nostro futuro”. “Vogliamo potere”, è stato lo slogan principale. A Napoli in uno striscione c’era scritto: “Si diano soldi alla scuola e non alla guerra”. Si può forse dargli torto?

Nella stragrande maggioranza si è trattato di manifestazioni pacifiche, guastate qua e là, soprattutto a Torino, da episodi di violenza delle frange antagoniste. Qua e là ci sono state accuse ad esponenti del Governo di “fomentare guerre e un genocidio”, lanci di bombe carta, uova e vernici, fantocci di politici dati alle fiamme, imbrattamenti, qualche scontro con la polizia.

Quanto basta a Fratelli d’Italia e Lega soprattutto per accomunare tutte le proteste e liquidarle come “cortei pericolosi e anacronistici”. Per Salvini le solite “zecche rosse”. Mentre Meloni ha visto solo “inaccettabili scene di violenza e caos in alcune piazze, ad opera dei soliti facinorosi”.

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La violenza va sempre condannata. Ma qui siamo al punto che se uno va in piazza a difendere il diritto dei palestinesi a esistere e a dire che Netanyahu è un criminale di guerra, è un antisemita; se s’azzarda a dire che la Meloni è un po’ fascista e Valditara un reazionario, è un facinoroso se non un brigatista rosso; se protesta perché non sì può più campare con mille euro al mese o perché agli alluvionati non è ancora arrivato un euro, è un comunista; se chiede di non lasciare affondare la scuola, la sanità, il lavoro nel degrado e nell’impoverimento tra un po’ l’arrestano.

Che brutta aria che tira.

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